Sarà che l’«aiutino» per l’acquisto del costruttore Diego Anemone è arrivato a sua insaputa. Sarà che ha lasciato - anzi no, perché ha confessato in tv che ancora di tanto in tanto dorme lì - quella dimora preziosa che per vicino, anzi vicinissimo di casa ha il Colosseo. Ma una cosa è certa: l’ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, adesso, deve cercare di chiarirsi un po’ le idee sull’appartamento di via del Fagutale che gli è costato un po’ la faccia, oltre che la poltrona di ministro. La Procura di Roma, senza neanche passare per l’udienza preliminare, ha infatti deciso di spedirlo direttamente a giudizio, davanti al giudice monocratico. Il tribunale deve soltanto fissare la data d’inizio del processo, probabilmente in primavera.
Un esito non inatteso, per una vicenda che al suo esplodere, ad aprile del 2010, ha tenuto banco. La richiesta di citazione direttamente a giudizio di Scajola per finanziamento illecito a un singolo parlamentare è arrivata dal procuratore aggiunto di Roma, Alberto Caperna, e dai pm Roberto Felici e Ilaria Calò. Con l’ex ministro è stato citato in giudizio anche il costruttore Anemone. La storia è nota. Per l’accusa, Anemone avrebbe pagato, tramite l’architetto Angelo Zampolini, una gran parte (circa 1,1 milioni su 1,7 milioni) della somma versata dall’ex ministro alle proprietarie dell’immobile, le sorelle Barbara e Beatrice Papa per l’acquisto dell’appartamento con vista Colosseo. Non solo. Lo stesso Anemone avrebbe poi fatto eseguire lavori di ristrutturazione per circa 100mila euro. Il reato di finanziamento illecito - si legge nell’originario capo di imputazione - si riferisce al fatto che «Anemone, quale amministratore di fatto delle società Redim 2002 srl, Amp srl, Medea Progetti e Consulenze srl, Tecnocos srl e Impresa Anemone Costruzioni srl, corrispondeva a Scajola, membro della Camera dei Deputati, un contributo/finanziamento, attraverso l’erogazione dapprima della somma di euro 1,1 milioni per l’acquisto dell’immobile sito in Roma, via del Fagutale n.2 (rogito del 6 luglio 2004), quindi dell’ulteriore somma di euro 100mila circa mediante la messa a disposizione di servizi consistiti nella ristrutturazione del predetto immobile (lavori effettuati o retribuiti fino al maggio 2006), senza che fosse intervenuta la deliberazione degli organi societari e senza che i contributi medesimi venissero regolarmente iscritti nei bilanci delle società» il cui termine di approvazione scadeva il 30 aprile 2007.
Scajola ha sempre sostenuto di non sapere nulla di quei soldi dati da Anemone per l’acquisto della casa. Ha detto che riteneva che fossero stati sufficienti i 610mila euro da lui versati per comprare quella casa, 180 metri quadrati nel salotto di Roma. Ma la procura, evidentemente, studiate le carte - gli accertamenti sono stati fatti dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza e dai carabinieri del Ros - ha deciso che ci sono tutti gli estremi per procedere direttamente col processo.
La partita ora si giocherà sul filo della prescrizione. Per i pm va calcolata dal 2007, dalla presentazione cioè dei bilanci delle società di Anemone, e quindi ci sarebbe tempo sino al 2014.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.