Alla Scala un Verdi terribile e stupendo Ma il tenore principale è già cambiato

Stuart Mill prende il posto di Filianoti nel ruolo protagonista dell’opera Daniele Gatti dirige una compagnia di cantanti esperti e giovani

Don Carlo apre la Scala 2008-2009. È un’opera terribile e stupenda. Il massimo dell’unione fra indagine storica e tragedia, fra denuncia politica e dramma di struggenti solitudini e infelicità.
La vicenda racconta la storia ufficiale e privata della Corte e del popolo di Spagna attorno al 1560, al tempo di Filippo II, l’uomo dell’Escurial, il figlio del grande imperatore Carlo V. È il secolo cupo e repressivo dell’Inquisizione.
In quest’ora di tumulti e d’immobilità, la giovane Elisabetta di Valois, venuta dalla Francia, destinata al principe Carlo, venne costretta dalla convenienza di Stato a sposarne invece il padre, Filippo. Nella storia vera, Carlo era un minorato, ma la tradizione romantica ne vide invece un cavaliere ideale. Friedrich Schiller, il grande drammaturgo tedesco, nel 1787 aveva immaginato fra i due giovani un incontro folgorante nella foresta di Fontainebleau.
Quasi un secolo dopo, Verdi volle dare con la musica alla parola una ancora più fonda verità. Ne fu sconvolto: la forza della storia gli fece scardinare le forme solite del melodramma ottocentesco; la scoperta della solitaria impotenza dei potenti rispondeva amaramente ai sentimenti risorgimentali cui aveva spronato; il vero del sentimento di fede del popolo gli balzava violento turbando la sua vantata coscienza di laico ottocentesco. La presentò a Parigi l’11 marzo 1867, in quel teatro che amava la grandeur, e ne fece, con i librettisti Méry e Du Locle, un grande spettacolo in cinque atti.
La versione italiana, nella traduzione rozza di Zanardini, del 1886, è in quattro atti: l’incontro nella foresta diventa genialmente una memoria di tutti, che per noi è memoria di qualcosa che non abbiamo vissuto. Si apre nella cripta dov’è la tomba di Carlo V. Il Principe si sublima nel sogno di libertà dei popoli sottomessi, e vorrebbe dare indipendenza alle Fiandre: lo condivide con il giovane Marchese Rodrigo di Posa, giurando un’amicizia senza fine.
Lo scontro fra Elisabetta e Carlo avviene in un colloquio solitario, dov’egli chiede d’essere ancora amato ed ella lo allontana, disperato, in nome della lealtà e del dovere. Poi il Re, solitario nel suo potere e non amato dalla sposa né dal figlio, confessa la sua solitudine e chiede amicizia proprio a Rodrigo, che vede tra i suoi uomini il più leale, in un memorabile intimo colpo di scena.
Lo scontro fra il Re e il figlio scoppia durante una grande festa in cui vengono bruciati gli eretici ribelli: Carlo si presenta con i deputati della Fiandra e, quando il padre li respinge, arriva a snudare la spada, nessuno lo vuole disarmare e solo Rodrigo si fa consegnare l’arma, per non rovinare il disegno politico. Il Re crede di dover sacrificare alla giustizia il figlio; si incontra con il Grande Inquisitore, ma costui ha intuito che il più pericoloso è proprio Rodrigo, l’amico; invano Filippo si oppone. Mentre Carlo è già in carcere, Rodrigo che l’aveva raggiunto verrà ucciso con una fucilata, furtivamente, dai soldati del Re.
Intanto abbiamo vissuto altri incroci di personaggi, altri spazi e paesaggi scenici, altre infelicità. Rodrigo a mezzanotte, attirato da un biglietto d’amore, crede di incontrare Elisabetta, e trova invece la bella Principessa Eboli, cantatrice ed incantatrice del Palazzo: si accorgono d’avere fatto entrambi un sogno strano, invano Rodrigo interrompe l’incontro, ella promette vendetta del non essere amata. Il Re scopre nel cofanetto dei gioielli di Elisabetta il ritratto di Carlo e l’accusa di adulterio, Eboli confessa a Elisabetta d’essere l’amante del Re e ne viene esiliata, ma capisce che Carlo è in pericolo e, presa dall’amore, propone di salvarlo... Sulla tomba di Carlo V l’opera era incominciata. Un frate misterioso - dalla voce sembrava proprio Carlo V, che una strana leggenda dava per ancora vivo e ritirato in un luogo segreto - pregava con i frati meditando sulla vanità del mondo. Sulla tomba di Carlo V, alla fine, Elisabetta prega. Il principe Carlo la raggiunge. Partirà per le Fiandre. È un addio purificato, intenso fino allo spasimo. Sopravviene il Re con la Corte e li accusa di tradimento, ordinando la loro morte. Allora il frate misterioso appare - era davvero lui l’Imperatore, vivo - e prende Carlo con sé. L’orchestra insorge con poche battute, violente come una ribellione, indifese come un preghiera.
Tutto questo è oggi alla Scala nelle mani di Daniele Gatti, direttore di grande cultura musicale e di intenso sentire, e nelle voci e nelle presenze dell’espertissimo Ferruccio Furlanetto, e di una compagnia di canto di esperti e di giovani. Due anni fa, nell’inaugurale Aida, il tenore Alagna se n’era andato via durante la seconda recita. Quest’anno il tenore Filianoti, un po’ leggero per la parte, comunque ben applaudito all’anteprima dei giovani, ha dato forfeit per la prima. Lo sostituisce il collega Stuart Mill, già previsto per alcune recite. Cose che capitano.

Il regista ha dichiarato d’avere intrapreso una via moderna, essenziale. Nei giorni scorsi se n’è parlato tanto. Ora siamo al momento della verità. Anzi al primo dei momenti della verità, perché Don Carlo è un’opera che continua a crescere in chi l’ha ascoltata.

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