In scena gli Animali notturni di Mayorga

Oggi è festa grande al Blue Note, sebbene per una sera soltanto e per due set. Arriva il sommo chitarrista americano Bill Frisell con un quartetto insolito. Oltre al suo amico Ron Miles alla tromba, ci sono Eyvind Kang alla viola, uno strumento assai trascurato (a torto) dal jazz, e Hank Roberts al violoncello, che gli intenditori ricordano soprattutto nell'Arcado Trio con Mark Dresser al contrabbasso e Mark Feldman al violino, uno dei gruppi più interessanti e innovativi degli anni Novanta.
Frisell fa parte del poker d'assi della chitarra del jazz contemporaneo con Jim Hall, il maestro di tutti, Pat Metheny e John Scofield. Dei quattro, Frisell è il più estroso, forse per il suo itinerario composito che lo ha esposto a varie influenze. Non c'è dubbio che qualche volta abbia sollevato perplessità anche nei suoi ammiratori più fedeli, ad esempio per certi suoi improvvisi sconfinamenti nell'avanguardia e in effetti elettronici estremi che non sembrano conformi alla sua indole.
È nato 58 anni fa a Baltimora, figlio di un contrabbassista, e si è cimentato fin dall'infanzia con il clarinetto e il sassofono prima di concentrarsi soltanto sulla chitarra. Poi ha seguito i genitori a Denver, nel Colorado, ed è questa la terra di cui ha respirato il clima e la musica. Ce lo dice lui stesso: «Ho studiato la chitarra acustica con il massimo impegno, mi sono diplomato alla North Colorado University e nello stesso tempo ho frequentato i corsi di arrangiamento e composizione presso la Berklee School of Music. Il Colorado è molto caratterizzante per un musicista, specie per un chitarrista. Non credo di poter citare il nome di qualche solista popolare che mi abbia influenzato più di altri, ma ho assorbito l'atmosfera generale, e so che si sente».
Riflette un poco, poi aggiunge: «Riconosco invece Jim Hall come il mio vero maestro, direi l'unico. Ha vent'anni più di me: sono bastati perché a suo tempo io abbia studiato con lui, imparando la sua predilezione per i “pianissimo“ raffinati, a volte appena percettibili, ma proprio per questo molto affascinanti. Credo che anche lui abbia una preferenza per me, sebbene non sia il tipo che me lo venga a dire. Una volta, dieci o dodici anni fa, abbiamo suonato in duo all'Umbria Jazz Summer di Perugia, dando vita ad una di quelle sere molto rare in cui tutto riesce bene e senti che il pubblico ti segue e ti capisce nota per nota. Fra due mesi giusti inaugureremo a Orvieto, io e lui, l'Umbria Jazz Winter, e spero che il miracolo si ripeta».
Questo è il Frisell che i cultori del jazz moderno preferiscono: dolce, acustico, con un linguaggio a note staccate e lievi, impregnate di un seducente clima western. Già alla fine degli anni Settanta, non ancora ventenne, si fa notare a livello internazionale con Eberhard Weber, Paul Motian, Jan Garbarek e Bob Moses. Decisive sono le sue partecipazioni alla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden e poi alle formazioni di Carla Bley, Mike Mantler, Peter Erskine e John Zorn.

A questo punto Frisell è maturo per esibirsi come solista, ottenendo grandi affermazioni, e per dirigere complessi propri. Fra i suoi collaboratori più importanti e significativi sono da ricordare il contrabbassista Kermit Driscoll, il batterista Joey Baron e, appunto, il violoncellista Hank Roberts.

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