da Londra
Due secoli fa, il 25 marzo 1807, il Parlamento inglese promulgava con 100 voti a favore e 36 contrari e il consenso di re Giorgio III la legge che aboliva il traffico degli schiavi nellImpero britannico e che mezzo secolo dopo avrebbe influenzato Lincoln nella politica per lemancipazione degli africani nelle piantagioni di cotone degli Stati Uniti.
Leader della campagna abolizionista in Inghilterra era William Wilberforce (1759-1833), deputato conservatore dello Yorkshire, grande illuminista e uomo di profonda religione, il quale si batteva da ventanni per laffrancamento degli schiavi, appoggiato dal giovane William Pitt e da altri spiriti generosi. La legge aboliva il traffico transatlantico, ossia dalle coste dellAfrica occidentale verso la Gran Bretagna e lAmerica, ma non segnò limmediata fine della schiavitù, che nelle colonie britanniche restò in vigore per altri trentanni, fino al 1838, quando una nuova legge garantiva infine la libertà a tutti gli schiavi. Wilberforce non avrebbe visto la vittoria della sua lunga battaglia, ma alla sua figura sono dedicate le celebrazioni del bicentenario dellabolizione del traffico umano.
Nella moderna Inghilterra multiculturale la commemorazione tocca la sensibilità della vasta comunità africana e accende dibattiti sul retaggio della schiavitù nella società: sensi di colpa, discriminazione, razzismo. Il governo ha investito oltre 20 milioni di sterline nel bicentenario, con mostre ed eventi nelle tre città coinvolte nel mercato: Londra, Liverpool e Bristol. Liverpool, la capitale europea del traffico nell800, inaugurerà il nuovo International Slavery Museum. Mostre illuminanti sul commercio umano che dal regno di Elisabetta I arricchì marinai e mercanti sono allestite nei principali musei di Londra. Ieri migliaia di persone guidate dagli arcivescovi di Canterbury e York si sono riunite in ricordo e riflessione davanti al Parlamento accompagnate dal suono di tamburi africani. E martedì sarà celebrato un servizio intitolato alla «Libertà per tutti» (Set All Free) nellAbbazia di Westminster, alla presenza del primo ministro Tony Blair, il quale ha già presentato le proprie scuse alle comunità africane «per il ruolo svolto dalla Gran Bretagna nel deplorevole traffico degli schiavi».
Ma, come spiega lo storico Simon Schama in un documentario per la Bbc sulla grandezza di Wilberforce, se lInghilterra fu ferocemente schiavista per la sua economia e per il suo impero, fu anche il Paese più fieramente abolizionista, e fu il primo a chiudere il traffico, se non la schiavitù, il cui primato spetta alla Danimarca. La prima insurrezione contro lo schiavismo si ebbe ad Haiti nel 1793 - repressa dalle truppe inglesi costrette poi a ritirarsi e a lasciare nel 1798 lisola nelle mani dei neri -; lOlanda abolì il traffico dopo lInghilterra, nel 1814; la Francia nel 1815, il Portogallo nel 1830. In un rapporto del Foreign Office del 1844 si legge che lungo le coste dellAfrica occidentale «il traffico degli schiavi continua ad aumentare sistematicamente \ numeri ingenti \ vengono trasportati a Cuba e in Brasile». Cuba potrà celebrare il bicentenario dellabolizione della schiavitù soltanto nel 2086 e il Brasile nel 2088. Nel mondo musulmano il traffico cominciò a declinare quando la Gran Bretagna chiuse i mercati a Zanzibar, nel 1873, riducendo così i rifornimenti di africani allImpero ottomano e alla Persia. In Mauritania, dove la schiavitù fu abolita nel 1980, migliaia di africani sono ancora di proprietà degli arabi.
Il bicentenario mette lInghilterra di fronte a uno spaccato irreversibile della propria storia e la costringe a riflettere sul passato. I politicamente corretti, ad esempio, invitano a riconsiderare in una nuova luce lo splendore giorgiano reso possibile soltanto dal lavoro degli schiavi nelle colonie.
Ma è facile travisare la storia. Come avviene nel contestato film di Michael Apted, Amazing Grace, che celebra il ruolo e la grandezza di Wilberforce, idealizzando, secondo i critici, il suo ruolo di abolizionista e sorvolando sul ruolo svolto da molti altri, bianchi e africani, uomini liberi e schiavi, ad alcuni dei quali la Royal Mail dedica una serie commemorativa di francobolli.
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