Sciopero, il baritono chiede i danni

L'allestimento classe 1969 del Barbiere di Siviglia, quello messo a punto da Jean Pierre Ponnelle, torna ciclicamente alla Scala. Ma mai, come sull'edizione del 2010, s'è abbattuta una pioggia di disavventure. Anzitutto si parte con un giorno di ritardo sulla tabella di marcia. Il nono sciopero scaligero in meno di due mesi ha fatto saltare la prima di oggi con il più bel Conte d'Almaviva e il più bel Bartolo in circolazione: rispettivamente, il tenore Juan Diego Florez e il baritono Alessandro Corbelli. L'appuntamento con i due interpreti slitta a lunedì 12, più repliche. Domani sera (ore 20), c'è il secondo cast. Strada facendo, se ne è poi andato il direttore d'orchestra Jean-Christophe Spinosi sostituito in un baleno da Michele Mariotti, 31 anni, debuttante alla Scala, figlio dello storico sovrintendente del Rossini Opera Festival e rappresentato dalla stessa agenzia del divino Florez. Vi sono, inoltre, cantanti solisti sul piede di guerra. Defezioni e vertenze risultano di difficile comprensione per i non italici o per quanti operano all'estero. Il caso di Corbelli, di casa al Met di New York e al Covent Garden di Londra, praticamente assente in Italia. «Noi cantanti andremo in scena con poche prove d'orchestra. La recita del 9 è saltata e so che la Scala tenderebbe a non pagarci. Se questa rappresentazione rientra nella categoria dello sciopero nazionale, sto zitto, altrimenti vado per vie legali così come hanno fatto alcuni cantanti del Faust», lamenta Corbelli. Che spiega, «se lo sciopero non è nazionale, abbiamo diritto al risarcimento. Non dimentichiamo che alla Scala non si retribuiscono le singole prove, come accade all'estero. E io sono qui a Milano dal 10 giugno». Non che Corbelli sposi la logica dei tagli: «capisco le ragioni di chi sciopera, però non lamentiamoci delle disattenzioni per la cultura quando, scioperando, ci mettiamo nelle condizioni di non produrre cultura. Il pubblico va rispettato». Altrove cosa si fa? «Si lavora e basta. Anche al Met ci sono difficoltà. Ci hanno chiesto di decurtare il cachet del 10%. Alcuni teatri americani hanno annullato delle produzioni, ma con mesi d'anticipo, non sui due piedi». Juan Diego Florez, di Lima, casa a Pesaro, residenza in Spagna e moglie tedesca, osserva: «leggo e sento delle difficoltà dei teatri italiani. Mi auguro che l'Italia possa continuare a dire una parola importante artisticamente, è praticamente un obbligo. L'Italia continua a produrre spettacoli importanti che fanno notizia nel mondo. In altri Paesi forse si è arrivati a soluzioni che permettono una serenità maggiore, mi auguro che sindacati e politici trovino soluzioni altrettanto convenienti per tutti. Florez: il maggior tenore belcantista in assoluto. Un uomo dalla voce supersonica: ben amministrata. Continua a non superare le 60 presenze in scena all'anno, per esempio. Per agosto e settembre non vuole nessun impegno, «è importante per poter continuare a dare il meglio», spiega l’artista che alla Scala debuttò con il Conte nel 1999 diretto da Chailly. Lui è la punta massima di una serie di cantanti d'eccellenza sudamericani. Come si piega il fenomeno latinoamericano? Con un difetto europeo: «I cantanti latini ci sono sempre stati, forse stanno diminuendo europei e americani».

Cosa condivide, Florez, con il Conte, il personaggio che in assoluto ha interpretato di più? «Forse il fatto che vede una sola volta Rosina, al Prado, e capisce subito che è la donna della sua vita. Mette in pratica qualunque strategia per averla, divertendosi».

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