Tra scippi e rapine ora all’Esquilino è invasione romena

La denuncia è del comitato di quartiere: «Il rione è sotto assedio. Aumentati a dismisura furti e borseggi. E nessuno fa niente»

Valeria Arnaldi

Piazza Vittorio Emanuele II e piazza Dante. Sono queste le nuove «mete» della malavita romena. Per lo più si tratta di gruppi di giovani, anche minorenni, dediti al borseggio, che si recano all’Esquilino ogni giorno, proprio come se andassero a lavoro. Alcune famiglie o piccole comunità vivono già nel quartiere, in baracche improvvisate nei giardini o in case occupate. «Arrivano in gruppi di 5, a volte 8, persone - racconta Augusto Caratelli, presidente del Comitato Difesa Esquilino -. Per lo più sono sbandati, individui facili alla violenza. Sostano spesso nei pressi del giardino Nicola Calipari, sia al suo interno che all’esterno. Per i residenti è diventata un’area offlimits, In tutta la zona, sono aumentati furti, borseggi, e di conseguenza la paura di chi vi abita». Secondo le testimonianze dei volontari di associazioni umanitarie che tentano di sottrarre i giovanissimi ai pericoli della vita in strada, quella romena è una vera e propria spirale di devianza, che coinvolge gli immigrati sin dal loro arrivo in città, attraverso uno scrupoloso addestramento «professionale». Giunti a Roma attirati da illusori racconti di amici o conoscenti che già si trovano qui, i nuovi arrivati vengono lasciati da soli, senza soldi. Sperimentata la fame e la disperazione, sono instradati, dagli stessi che li hanno attirati con false promesse, ad accattonaggio e borseggio. L’addestramento inizia in piazza della Repubblica. Qui, dopo alcune rudimentali lezioni teoriche, mettono alla prova quanto hanno appreso, tentando di scippare i viaggiatori della metropolitana. Il periodo di prova varia a seconda del talento individuale. Quando le tecniche sono state perfezionate, i più piccoli vengono mandati verso il centro storico, nelle zone di grande afflusso turistico, dove per un bambino è facile far perdere le proprie tracce in mezzo alla gente. I più grandi, invece, si spostano verso l’Esquilino. Ad attirarli, sarebbe proprio la ricchezza della Chinatown romana. «I negozi cinesi, malgrado qui sia vietato, vendono all’ingrosso - spiega Caratelli -, ciò li porta a registrare notevoli incassi. È inevitabile che una situazione di questo tipo, peraltro ormai nota in tutta la città, attiri malintenzionati. Per ora si limitano a furti e borseggi, ma non escludiamo che possano un giorno arrivare a tentare rapine nei negozi. Abbiamo segnalato la situazione alle forze dell’ordine. Alcuni controlli sono stati effettuati, ma non è cambiato nulla. Anzi, il fenomeno sembra destinato a raggiungere dimensioni sempre più considerevoli». A facilitare l’escalation di violenza sarebbe anche il significato culturale che la devianza ha assunto per i romeni immigrati nella capitale. Per molti, soprattutto per i più giovani, delinquere è un modo per farsi accettare dalla comunità di connazionali. Furti, borseggi e rapine sono «sfide» per guadagnarsi il rispetto del gruppo. È facile, quindi, che si vada oltre i limiti, tentando imprese sempre più pericolose, anche a costo di fare vittime. Recentemente, il Comune ha scelto proprio i giardini di piazza Vittorio Emanuele II per testare il prototipo di una torretta d’emergenza - ne sono state realizzate due, la seconda è a Colle Oppio - composta da videocamera, microfono e pulsante per attivare la comunicazione con la sala operativa dei vigili urbani, in modo da garantire, in caso di necessità, un rapido intervento di vigili o forze dell’ordine. «È una presa in giro - commenta Caratelli -. Dalla richiesta d’aiuto all’intervento passerebbe troppo tempo. Da un anno è stato collocato proprio in piazza un gabbiotto della polizia municipale, che, malgrado le nostre richieste e proteste a Comune e I municipio, continua a essere inutilizzato.

Per combattere il degrado della zona, occorre un presidio fisso, non una torretta-citofono. Sembra che le istituzioni abbiano deciso di abbandonare il quartiere al degrado, ma non ci stiamo e, se le cose non cambieranno presto, scenderemo ancora in strada a manifestare».

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