Dunque: perché Lei immaginava la mia sconfitta? Me lo dica: mi preme saperlo per i miei studi animali. Io son poco lontano dal fuoco e forse vi andrò a ballare tra poco. Si sente da tre giorni il rombo di centinaia di cannoni nostri. Certo qualcosa di grosso sta per avvenire, qualcosa che ci riempirà di gioia. Io credevo che Lei si fosse un po' risentita di certe confidenze: ma vedo con gioia che non è vero. Lei mi scrive certe lettere morbide! Son contentissimo. Chissà. Questo inverno, quando andremo per poco in meritato riposo ci si potrà vedere a Firenze. Quando ci andrà lei? Oggi no: ma, quando avrò un po' più di tempo le manderò qualcosa di mio.
Sono tanto cambiato che nemmeno Lei che crede di conoscermi mi riconoscerà. Nessuno mi riconoscerà. Ho sentito una voce che mi dà fastidio. È vero, sinceramente, che in Italia non s'interessano più tanto della guerra? I soldati che vanno al fuoco sono mirabili. E perché voi dovete pensar così? Ah, Italia! Quando avrò fatto il mio dovere, se tornerò vivo, dirò tutte le cose cattive che meritano le amanti dispettose. E andrò girando il mondo, scalzo, a far penitenza per cotesto popolo giullare e ad urlare il grido della rampogna.
Ah. Italia! servetta vestita all'ultima moda, con cui abbiamo danzato sempre, fino a che non ci siamo accorti che era tinta e le gote le calavano il minio, donnina con cui facevamo i passi piccoli, per timore di sdrucirle la vestina di Parigi. Se è vero, siete degli infami! Voi.
Noi no: apparteniamo a un altro secolo, a un altro tempo, a nessuno. Qui ci si batte, bene, e ogni giorno c'è lo spicinio d'uomini come l'uva per una irruzione di polli. Andiamo avanti; voi state a guardare. Chiudo la lettera. Scriverò domani.Corrado Alvaro
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