Non solo Boko Haram: la galassia jihadista africana è assai più variegata. E nonostante le operazioni antiterrorismo nel continente, continua a svilupparsi. Complice anche l’espansione dello Stato Islamico in Medio Oriente. Il Sahel infatti, una delle regioni più povere del pianeta, da qualche anno si caratterizza come un’area di fortissima instabilità politica ed economica alle porte del Mediterraneo. È una zona in cui l’intreccio tra conflittualità etnica, povertà estrema e instabilità istituzionale, è divenuto terreno fertile per il radicamento dei gruppi jihadisti che minacciano il continente africano e l’Europa. Va da sé dunque, che la pacificazione e la stabilizzazione di quest’area assumano oggi il carattere di una vera e propria esigenza per garantire la nostra sicurezza.
Tra i gruppi che operano nell’area sahelo-sahariana il più importante è sicuramente Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI): la costola maghrebina di Al Qaeda, che sogna di unirsi allo Stato Islamico. O meglio che, dopo una serie di proclami in favore del Califfato, compreso quello in occasione dell’attacco a Charlie Hebdo, si sta frantumando sempre più sotto la spinta centrifuga dei vari sottogruppi rivali che la compongono, e che, katiba dopo katiba, continuano a giurare fedeltà ad Al Baghdadi. Gli ultimi a offrire la propria adesione al Califfato sono stati infatti proprio ieri, gli uomini delle cosiddette Falangi di El Ghourabaa, attive a Constantine, nel nord est dell'Algeria. Prima di loro, ad affrancarsi dal leader di AQMI Abdelmalek Droukdel giurando lealtà all’Isis era stato il gruppo di Mokhtar Belmokhtar, gli Al Mourabitoun. Questa milizia, capitanata dal cosiddetto “emiro del Sahara” - sulla cui morte, data per certa lo scorso giugno, ci sono ancora dubbi – e nata nel 2013 dall’unione proprio tra gli uomini della katiba di Belmokhtar e quelli del MUJAO - Movimento per l’unicità e il jihad in Africa Occidentale – è attiva nel nord del Mali e nel sud dell’Algeria. A completare il mosaico del jihadismo maghrebino, oltre all’Isis, ormai attivo e presente in Libia, e al gruppo dei Soldati del Califfato che hanno rivendicato l’attacco al Bardo e la strage di Sousse in Tunisia, ci sono anche altri gruppi minori composti da ex membri di AQMI, come ad esempio Wyalat al Jazair (La Provincia di Algeria) e il gruppo dei Soldati del Califfato nella Terra d’Algeria (Jund al Khalafa).
L’origine di molti di questi gruppi, soprattutto quelli algerini, è per certi versi comune. AQMI nasce infatti nel 2007, quando l’attuale leader Droukdel, allora capo del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC), dopo mesi di negoziati con Al-Zawahiri decise di formalizzare l’affiliazione del gruppo jihadista algerino al network di Bin Laden, dando vita alla branca saheliana di Al Qaeda. Da qui il GSPC, nato dalle ceneri del GIA, il gruppo protagonista dei crimini più efferati e sanguinari nella guerra civile algerina degli anni ’90, inaugura una nuova fase e dalla battaglia locale contro Algeri, cambia strategia lanciandosi con maggior vigore verso una nuova sfida: quella contro il far enemy, ovvero i "Crociati" e i regimi apostati dell’Occidente. La Francia e la Spagna sono i nemici giurati di AQMI, che sogna una seconda reconquista spagnola, questa volta non per liberare i regni moreschi come fu nel ‘400, ma al contrario per riconquistare Al-Andalus. Nel frattempo l’obiettivo è quello di imporre la Sha’ria negli Stati del Maghreb e del Sahel. Un traguardo questo quasi raggiunto nel 2012, quando il gruppo, prendendo il sopravvento sull’insurrezione dei Tuareg maliani contro Bamako, era riuscito ad instaurare uno Stato Islamico su tutto il territorio del nord del Mali. L’operazione Serval, lanciata dalla Francia nel gennaio del 2013 e il successivo intervento dell’Onu con la MINUSMA, hanno liberato il nord del Paese, dove però i terroristi sono ancora presenti, nascosti sulle montagne dell’Adrar, e dove continuano gli attacchi ai caschi blu nelle principali città. Ma la vera forza di AQMI in termini economici e di reclutamento sono i traffici che il gruppo ha gestito in questi anni nella regione saheliana: dal trasporto della droga proveniente dall’America Latina verso l’Europa, al contrabbando, fino al traffico di armi e di esseri umani, lungo le antiche rotte del deserto. Le stesse che un tempo erano percorse dai mercanti che scambiavano l’oro di Timbuctù con il sale e le stoffe preziose del Maghreb. E poi i rapimenti di cittadini occidentali, fruttati negli ultimi anni alle casse dell’organizzazione un totale di circa 150 milioni di euro.
AQMI, assieme al gruppo degli Al Mourabitoun e Boko Haram, è considerata dal Congresso americano la principale minaccia agli interessi degli Stati Uniti e alla stabilità dell’intera regione. Nonostante l’indebolimento causato dalle spaccature interne e dalle operazioni antiterrorismo infatti, rimane attiva nel colpire obbiettivi locali: come dimostra l’attacco dello scorso 17 luglio, costato la vita a undici militari algerini nella località montuosa di Ain Defla, a circa 60 chilometri a sud ovest di Algeri, considerato da molti analisti come una prova di forza del gruppo, a cui il governo algerino ha risposto la scorsa settimana uccidendo 16 jihadisti. La rete nera dello Stato Islamico è quindi pronta ad espandersi sempre più nel Sahel, tra Stati fragili, conflitti etnici e un’instabilità cronica acuita dal collasso dello Stato libico. Dopo il tentativo di AQMI di conquistare il nord del Mali poggiandosi sull'insurrezione delle comunità tuareg, un po’ come ha fatto l’Isis con le tribù sunnite in Iraq, il prossimo obiettivo infatti potrebbe essere il Niger, un Paese che presenta lo stesso tipo di fratture etniche che minacciano il governo centrale.
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