Se il braccio di ferro sui ministeri al Nord è solo una buffonata

Ecco su cosa verte la grande discussione sui decentramenti: tre stanze semiarredate di 100 metri quadrati. Eppure la polemica monta. Il Senatur sfida Napolitano: "Le sedi di Monza restano lì"

Se il braccio di ferro 
sui ministeri al Nord 
è solo una buffonata

Tre scrivanie, tre statuette di Alberto da Giussano, tre arazzi raffiguranti il giuramento di Pontida, quattro divanetti e un bagno, al piano di sopra, ancora sprangato. Ufficialmente perché «inagibile», probabilmente perché non è stato ancora «arredato». Sono questi i ministeri decentrati a Monza, a Villa Reale ma, al momento ancora Repubblica italiana, che tanto «preoccupano» il capo dello Stato e per i quali Bossi invita Napolitano a «non preoccuparsi» come se, sottinteso, non fossero affar suoi. E neanche della nostra Costituzione.
Pare uno scherzo del Solleone (che peraltro latita perché non vuole sentirsi responsabile di questi deragliamenti dialettici) ma sono proprio queste tre stanze, poco più di centro metri quadrati, con dentro il vuoto pneumatico (come mobilia e come idee) che, nell’estate delle «diversità», stanno, in queste ore, incendiando il dibattito politico. Tre stanze, «segreteria» compresa, e non tre ministeri con tutta la pompa e l’ufficialità di quelli di Roma e magari persino con i telefoni, che, nei «ministeri» di Monza non sono stati ancora messi, che stanno seminando dichiarazioni sdegnate e contro-dichiarazioni contro-sdegnate. Una panna inodore, insapore, incolore, (data la realtà oggettiva che chiunque ha potuto constatare nell’inaugurazione ufficiale di sabato scorso) che ciononostante, qualcuno sta disperatamente cercando di montare allo scopo di ottenere un risultato non meglio identificato. Il monito del Colle con il quale il presidente invita a «rispettare la nostra Carta costituzionale, l’unità del Paese, la centralità di Roma Capitale e alla sobrietà delle istituzioni di fronte alla crisi». Bossi (massì lo stesso leader del Carroccio che è arrivato con due ore di ritardo all’inaugurazione del vuoto pneumatico) che va a sfrucugliare il presidente con una dichiarazione che innesca reprimende: «La Costituzione non parla di dove devono stare i ministeri, Napolitano non si preoccupi, i ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo là. I rapporti col presidente non si romperanno per questo. Si romperebbero se gli chiedessimo di ridare indietro i mobili che si è preso dalla villa Reale di Monza». I leghisti, compresi tutti quei leghisti che, sabato scorso, se ne sono stati due ore barricati dentro Villa Reale, consci della pochezza dell’evento, ma costretti ad attendere comunque il capo per lucidare tutt’insieme le targhe d’ottone dei «dicasteri nordisti», che non sanno bene che cosa dire al riguardo. E il resto, a scendere o, se si preferisce, a salire lungo questa strana Italia, è un frullato di commenti di altrettanto strani politici. Che sembrano aver paura di venir schiacciati dalla panna montata. Alemanno, sindaco di Roma, che torna a strillare contro il colpo di mano di Bossi che definisce «irresponsabile dal punto di vista politico perché cerca di creare inutili conflitti tra la nostra città e le regioni del Nord, che non hanno mai chiesto trasferimenti di ministeri, ma semmai più autonomia e federalismo». Lo sdegno dell’Udc (Udc che già, con un manipolo di adepti sabato aveva protestato fuori da Villa Reale assieme ai piddini) interpretato dal segretario Lorenzo Cesa: «Ci auguriamo che l’ineccepibile richiamo del presidente Napolitano metta la parola fine alle buffonate della Lega sui ministeri al Nord, finora assecondate da troppo silenzio da parte del governo».

E il tentativo, apprezzabile, di calmare gli animi del premier Berlusconi che, aprendo ieri i lavori del Consiglio dei ministri, ha rivolto «un pressante invito a tenere in debito conto le osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica sulle recenti istituzioni di sedi periferiche di strutture ministeriali». Riuscirà, almeno lui, a smontare la panna montata?

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