Sarebbe una sciagura - per l’Italia - se stasera dalle urne non uscisse un chiaro vincitore in entrambe le Camere. Anche se tutti gli indizi la indicano come un’eventualità improbabile, potrebbe accadere che alla Camera vi sia una larga maggioranza del Popolo della libertà e dei suoi alleati, e al Senato invece risulti un esile vantaggio per il centrodestra, o addirittura un pareggio che potrebbe rimettere la situazione ancora nelle mani dei senatori a vita.
Gli osservatori più avveduti concordano sul fatto che l’Italia ha oggi bisogno di un governo forte in grado di affrontare con decisione il grave stato dell’economia e della società. Il pareggio, o comunque la disparità di maggioranze tra Camera e Senato, sarebbe, al contrario, l’anticamera della precarietà e dell’instabilità, ossia di un governo che è agli antipodi di quello forte da tutti auspicato.
Si tratterebbe in tal caso di trovare la soluzione che meglio serva il Paese, al di là degli interessi delle forze politiche contrapposte. Sarebbe inevitabile una coalizione - governo di «unità nazionale», «di emergenza» - della quale entrino a far parte soltanto quei settori del centrodestra e del centrosinistra che sono pronti a mettere da parte le proposte più partigiane, e a convergere su pochi ma essenziali provvedimenti che garantiscano l’interesse nazionale senza ricorrere a pasticci consociativi.
L’Italia necessita di interventi «lacrime e sangue», principalmente su tre terreni. Il primo riguarda le riforme istituzionali ed elettorali volte ad assicurare meccanismi parlamentari e governativi rapidi, efficaci e stabili. Il secondo terreno, più che mai urgente, è l’individuazione di alcuni interventi radicali per rimettere in moto l’economia che scivola sempre più un basso. Il terzo, non meno decisivo anche se meno clamoroso, riguarda il rinnovamento radicale della pubblica amministrazione che riconcili il cittadino - sia esso individuo, famiglia o soggetto economico - con lo Stato, ed elimini le sovrastrutture burocratiche e parassitarie che ci opprimono.
Potrebbe accadere tutto ciò, se si verificasse l’ipotesi del pareggio? Difficile rispondere. Certo è che oggi diviene indispensabile che i dirigenti dei due maggiori partiti - il Popolo della libertà e il Partito democratico -, che hanno già compiuto il miracolo di avviare l’Italia verso una più compiuta democrazia bipolare, siano pronti ad affrontare con responsabilità repubblicana qualsiasi evenienza, anche la peggiore, che esca dalle urne. Spetta alle forze politiche maggiori prendere in mano la situazione in caso di pareggio, senza lasciarla ad altri poteri - che qualcuno chiama «forti» - non rappresentati in Parlamento.
L’eventualità del pareggio, per quanto deprecabile, richiede che i leader del Pdl e del Pd, turandosi il naso, facciano buon viso a cattivo gioco, imboccando l’unica strada possibile per rendere l’unità e l’emergenza nazionale non un vacuo intervallo di conflitti e di attese, ma una stagione di proficua convergenza per un tempo esplicitamente limitato, per esempio due anni, che consenta il varo di provvedimenti urgenti che gli italiani reclamano.
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