La possibile nomina di un commissario che incombe su Fastweb ha gravi ripercussioni per l’investimento in Italia delle multinazionali. Questa brillante impresa di tecnologia informatica appartiene alla multinazionale svizzera Swisscom che l’ha comperata nel 2007, dopo che i fatti oggetto della attuale indagine giudiziaria erano cessati. Il suo azionista di maggioranza è estraneo a ciò, ma Fastweb rischia di essere chiusa per un anno e mezzo o di essere oggetto di commissariamento. Ciò causa del saldarsi assieme di due nuove specie di reati, quello di riciclaggio stabilito con una legge del 1991, e quello della responsabilità-amministrativa penale delle società introdotta con il decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, che trova le sue radici in un’aberrante legge del governo Prodi del 29 settembre 2000 n. 300 che dettava i principi ispiratori di questa nuova figura di reato, in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione che stabilisce che la responsabilità penale è personale.
Da tempo immemorabile c’è il principio giuridico «societas delinquere non potest», la società non può commettere crimini non essendo un individuo. La finzione della legge del 2000 attuata con il decreto del 2001 è che la società ha una responsabilità amministrativa per i reati posti in essere da suoi amministratori, dirigenti o dipendenti compiuti nel suo interesse oppure, comunque, a suo vantaggio. Solo una mente pervicacemente dirigista può stabilire che una società per azioni è colpevole dei fatti dei dipendenti, anche se commessi a insaputa del vertice, se ciò le ha dato un beneficio economico. Ma lo stabilisce espressamente il decreto del 2001 con la clausola che tale responsabilità si ha se la struttura organizzativa della società era tale da non ostacolare la commissione da parte di suoi dipendenti dei reati compresi in una certa lista, fra i quali vi è anche quello di riciclaggio.
Che si tratti di una norma penale camuffata da norma amministrativa per aggirare l'articolo 27 della Costituzione, lo si capisce dal fatto che la sua applicazione non è affidata al giudice amministrativo, ma al magistrato penale, con il processo penale. La norma stabilisce sanzioni pecuniarie rilevanti, che vanno a danno degli azionisti. Nel caso delle società quotate in Borsa, il danno va al cittadino che ha sottoscritto i titoli Fastweb e li ha visti cadere, perché si temono le sanzioni a carico della società. Non è un bello spettacolo per chi investe nella nostra Borsa e per una multinazionale che investe in una società per azioni italiana quotata a Piazza Affari.
Ma il peggio non è questo. È che fra le sanzioni, oltre alle pene pecuniarie, quando si tratta di imprese che fanno forniture pubbliche o hanno appalti pubblici o svolgono servizi di pubblica utilità è prevista la chiusura temporanea. Beffa delle beffe, per evitare i danni di questa all’economia e ai suoi soci, c’è il possibile commissariamento, deciso dal tribunale penale su richiesta del pubblico ministero, all’inizio del dibattimento. Ciò qualora essi ritengano che la società non ha modificato abbastanza la sua struttura da rendere impossibili i reati in questione. Clausola che, per il reato di riciclaggio, può essere interpretata in modi molto diversi, data la enorme estensione che ha, nella nostra legge, questo reato. Contrariamente a quel che si pensa comunemente, esso non consiste nel riciclaggio consapevole di denaro sporco, ma nella violazione delle norme valutarie fatte anche per lo scopo più onesto, da una persona che nulla ha a che fare con la mafia, la camorra, la ’ndrangheta o la Sacra corona unita.
Le norme anti riciclaggio consistono nell’obbligo di effettuare tramite banca i pagamenti sopra un certo importo, dichiarando il destinatario e l’obiettivo dell’operazione. Ci sono così riciclaggi mafiosi e riciclaggi non mafiosi. E chi, dipendente di una società, la deruba spesso commette anche il reato di riciclaggio in quanto fa fare giri tortuosi clandestini al denaro in questione. Così la società derubata potrebbe essere commissariata, se si dimostra dalle operazioni che hanno reso possibile quel furto che anch’essa ha avuto un lucro. E ciò anche se essa non lo desiderava. Tipico il caso di una frode fiscale, che per metà arricchisca il dipendente e per metà dia vantaggi non richiesti alla società, che avrebbe preferito essere in regola con il fisco, ma «non ha vigilato abbastanza» per impedire la frode.
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