Magdi Cristiano Allam è nato 58 anni fa nel quartiere popolare Bab el Shaarya de Il Cairo. Europarlamentare fondatore del movimento «Io amo l'Italia», spiega a «Il Giornale» luci e ombre della sanguinosa rivolta di queste ore.
Cosa sta accadendo in Egitto dove ha vissuto per 20 anni?
«La necessità dei ceti meno abbienti di garantirsi la sopravvivenza economica e la frustrazione dei giovani più acculturati, che chiedono libertà e democrazia, si sono mescolate esplodendo. Le borse, il commercio, l'economia sono state globalizzate, ma non i diritti della persona, la democrazia, le libertà. Da una parte la globalizzazione ha accresciuto le difficoltà dei ceti meno abbienti nel fronteggiare la crisi economica. Dall'altra ha accentuato la frustrazione dei giovani alfabetizzati, istruiti, laureati, che guardano la tv satellitare, navigano su internet, usano Facebook e si rendono conto di essere cittadini del mondo. Al tempo stesso, però, non possono partecipare, nel loro Paese, alla libertà e alla democrazia».
E noi c’entriamo qualcosa?
«L'Europa ha le sue responsabilità. I dittatori di questi Paesi li abbiamo aiutati e sostenuti noi. Per decenni in nazioni come l'Egitto è stata esercitata una democrazia solo formale basata sul rituale delle elezioni, ma senza rispettare veramente i principi democratici».
Hosni Mubarak, che guida il Paese da tre decenni, è caduto...
«Parliamo di una persona che ha quasi 85 anni ed è malato. Mubarak è stato sostenuto dall'esercito, la vera forza che regge il Paese. Oggi la domanda da porsi è: chi sarà il candidato che le forze armate sceglieranno per sostituire Mubarak?».
È cominciato a scorrere del sangue. Quale ruolo giocheranno le forze armate?
«L'esercito in Egitto è fondamentale, garante dell'unità del paese. I militari sono una classe privilegiata, l'unica forza che può tenere insieme la nazione più popolosa dell'area e con il maggior peso politico della regione, nulla di comparabile con la Tunisia. Se gli estremisti islamici dovessero assumere il potere in Egitto l'effetto sarebbe ancora più devastante di quello che ci fu nel 1979 con l'ascesa di Khomeini in Iran. Lui rappresentava la minoranza sciita, ma i Fratelli musulmani in Egitto sono invece la maggiorana sunnita diffusa in tutti i paesi islamici».
Chi potrebbe prendere il potere?
«La situazione è ancora confusa. Si parlava di Gamal, il figlio di Mubarak, ma non gode della fiducia dell'esercito. E poi è un civile. Bisogna capire quale sarà il ruolo di Mohammed El Baradei, che è stato a lungo presidente dell'Agenzia atomica e ha mantenuto rapporti internazionali importanti. Bisogna capire se non si stia prestando a diventare la faccia accettabile dei Fratelli musulmani».
I Fratelli musulmani sono scesi in piazza, ma anche i cristiani copti hanno deciso di unirsi alle proteste. È una rivolta islamica o di tutti?
«Al momento non ha forti connotati religiosi, almeno in apparenza, ma gli islamici sono molto forti. Controllano le moschee e diverse associazioni di categoria come quella degli avvocati, degli insegnanti dei medici. Hanno un radicamento soprattutto fra i ceti meno abbienti. Al di là del fatto che oggi non siedono in parlamento, il rischio che l'Egitto possa venir pesantemente condizionato dagli integralisti islamici è elevato. Loro sono molto abili ad appiccare l'incendio e poi a proporsi come pompieri per spegnerlo. In cambio chiedono la compartecipazione nella gestione del potere, fino a quando non lo monopolizzano del tutto».
Esiste un pericolo Al Qaida, tenendo conto che il suo numero due, Ayman al Zawahiri, è egiziano?
«No, lo escluderei. Qualcuno legato ad al Qaida potrebbe cercare di aizzare ulteriormente gli animi, ma non riuscirà mai a prevalere. Chi vincerà saranno i Fratelli musulmani, per certi aspetti ben più insidiosi».
Nei prossimi giorni dobbiamo prepararci ad un'escalation?
«È stato imposto il coprifuoco, ma il regime non è in grado di dare risposte soddisfacenti alle necessità economiche ed alla richiesta di democrazia da parte del popolo».
L'effetto domino si
«L'effetto domino c'è già. Abbiamo visto l'Algeria, la Tunisia, l'Egitto, il Libano. E pure nello Yemen, il paese più povero fra quelli citati, gli animi si stanno scaldando».
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