Sebastiano del Piombo Avventure romane

A Palazzo Venezia l’artista del ’500 che fu influenzato da Raffaello e Michelangelo

L’esposizione di Sebastiano del Piombo allestita da Luca Ronconi a Palazzo Venezia consacra di diritto questo magnifico pittore. Un artista che ha suscitato incertezze di attribuzione e dubbi irrisolti sulla sua personalità oscillante fra i pittori veneti, da cui origina, e i grandi del Rinascimento romano, con i quali si completa.
Nato a Venezia nel 1485, non poteva ai suoi esordi non risentire della cultura veneta belliniana e dello stesso Giorgione, al quale Sebastiano (sino ad allora chiamato col suo vero cognome, Luciani) si accosta subendone l’influenza, oltre a quella della grande pittura europea che nel Cinquecento porta a Venezia il clima della pittura tedesca e fiamminga, specialmente dopo il passaggio di Albrecht Dürer e il suo sodalizio con Giovanni Bellini. Ma un avvenimento all’apparenza insignificante dovrà sconvolgere la vita (e lo stile) di Sebastiano. Transitava a Venezia il grande mecenate Agostino Chigi che con occhio infallibile si accorse della bravura del Luciani e gli propose di seguirlo a Roma. Un evento che avrebbe sconvolto la sua vita e trasformato la sua pittura.
Era in atto a Roma una vivace disputa stilistica fra Michelangelo, allora in procinto di ultimare la volta della Cappella Sistina, e Raffaello, all’opera nelle Stanze Vaticane. Quando arriva Sebastiano, nel 1511, Raffaello sta eseguendo La Scuola di Atene e, subito accortosi della genialità del nuovo arrivato, ne dipinge il volto nel suo affresco (fatto contestato nell’Ottocento dallo storico dell’arte Giovanni Morelli). Sebastiano esita nella scelta stilistica: se accostarsi all’uno o all’altro che a Roma facevano il bello e il cattivo tempo.
Alla fine il giovane pittore, che aveva ereditato da Giorgione il gusto del monumentale, dopo la collaborazione nella villa Farnesina dello stesso Chigi, ove dipinse un possente Polifemo accanto alle storie di Amore e Psiche di Raffaello, non poté non scegliere Michelangelo col quale si legò di forte amicizia, al punto che il Buonarroti stesso accorse in suo aiuto fornendogli alcune soluzioni azzardate nei suoi quadri e cedendogli addirittura dei disegni. Quindi, quando fu in procinto di terminare il Giudizio, Michelangelo si avvalse della compagnia di Sebastiano, tanto che su di loro corsero voci maligne. Certamente Sebastiano vi ebbe un ruolo, con le sue teorie sull’affresco nel quale era maestro: e aveva persino inventato certe innovazioni che però non piacquero a Michelangelo - il quale in fatto di affreschi non concepiva di essere secondo a nessuno - al punto che le accese discussioni avrebbero poi provocato la fine dell’amicizia.
La rottura dovette causare nell’animo di Sebastiano un terremoto psichico e stilistico. Si sentì solo e isolato e in questa condizione, chiuso nel Palazzo della Cancelleria (ove era stato nominato dal Chigi custode del «Piombo», il registro di timbri, stemmi e caratteri apostolici, una sorta di Segreteria di Stato), in quelle stanze dense di suggestioni e ricche di magnifiche opere d’arte, concepì i suoi maggiori capolavori. Oggi, nella compilazione del dottissimo catalogo (Federico Motta Editorie) della mostra - la prima grande rassegna dedicata a Sebastiano del Piombo - possiamo apprendere da chi e da che cosa furono influenzati.
Si ammirano, provenienti dalle maggiori collezioni del mondo, lo spettacolare Giudizio di Salomone, le sensuali fattezze di Cerere o di Dorotea, l’enigmatico Triplo ritratto e il Ritratto di uomo in arme, le effigi di prelati e aristocratici, in una straordinaria galleria di protagonisti: Pietro Bembo, Andrea Doria, Paolo III Farnese, Clemente VII, con il quale Sebastiano si rifugiò a Castel Sant’Angelo per difendersi dai lanzichenecchi che nel 1517 avevano messo a sacco Roma. Un dramma, quest’ultimo, dal quale derivano ritratti e composizioni sacre calate in una luce tenebrosa, di struggente misticismo: dalla Pietà e dalla Flagellazione di Viterbo, ai martìri delle sante e al Cristo portacroce del Museo di Budapest. Capolavori che arrivano finalmente in mostra come alcune delle più emblematiche opere del Rinascimento. Della qual cosa, per la verità, si erano accorti non pochi conoscitori che già dal secolo scorso si erano accaparrati molti di questi dipinti, oggi nei principali musei europei, specialmente tedeschi. Fra questi, la Gemäldegalerie di Berlino che ospiterà la mostra dal prossimo 28 giugno.

Il catalogo riunisce apparati critici di prim’ordine, da quello di Claudio Strinati ai saggi di Bernd Lindemann al testo di Roberto Contini che scava nei lati inediti dell’arte di Sebastiano.
LA MOSTRA
«Sebastiano del Piombo (1485-1547)». Roma, Palazzo Venezia, via del Plebiscito, 118. Fino al 18 maggio. Info: 0668192230. www.mondomostre.it.

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