Chissà perché la «meglio Italia» si è spesso ritrovata al di là dell'Oceano, in quell'America diventata per un secolo sgocciolatoio dei nostri sogni diffusi, amplificati, sublimati dalla leggenda e pure, dai ammettiamolo, anche dalla realtà. Oggi siamo nell'epoca dell'immagine, dei selfie che svaniscono in un giorno su Instagram e ci sembra di essere all'avanguardia. In realtà tutto iniziò nel 1921, poco dopo l'uscita del film I quattro cavalieri dell'Apocalisse con un protagonista italiano che è diventato il pioniere dell'italoamericanità di successo, ossia Rodolfo Pietro Filiberto Raffaello Guglielmi, detto Rodolfo Valentino da Castellaneta provincia di Taranto, che per primo in quattro e quattr'otto incarnò così bene il ruolo del cinesex symbol da diventare il paradigma del «latin lover», quello che oggi sarebbe in tendenza tutti i giorni, diventerebbe un hashtag a ogni uscita pubblica e sai quanti milioni di follower. Dopo Rodolfo Valentino, l'italoamericanità è diventata un «brand» che nel mondo dell'arte si distende fino a formare un rosario sterminato di nomi, simboli e passioni. Frank Sinatra, figlio di Antonino e Natalina Garaventa, e Dean Martin, orgoglio di Gaetano ed Angela, erano migliori amici ma pure simboli dello swing e di Hollywood, eroi del Rat Pack di Las Vegas, re degli eccessi e principi dei rotocalchi giusto due decenni prima che un'altra ondata di italoamericani consolidasse un fenomeno (per ora) unico al mondo, ossia quello di immigrati o figli di immigrati che fanno germogliare una cultura dentro la cultura fino a diventarne parte decisiva, quasi trainante. Francis Ford Coppola, figlio di Carmine e Italia dalla provincia di Matera, nel 1972 fa capire al mondo il linguaggio della mafia e anche dopo mezzo secolo, e anche dopo Martin Scorsese, figlio di Teresa e Francesco Paolo Scozzese erroneamente trascritto in Scorsese a Ellis Island, il dizionario è quello del Padrino pure sulle piattaforme come Netflix o Amazon.
E poi gli attori.
Manco a dirlo Sylvester Stallone nell'italianamente indomabile Rocky. Oppure Robert De Niro, che ha pure la cittadinanza italiana perché nipote di Giovanni e Angelina dalla provincia di Campobasso. Ma l'elenco è sterminato e dirne uno significa comprenderli tutti, da Danny DeVito a John Travolta.
La musica, infine, c'è qualcosa di più italiano delle bordate di passione e melodia che arrivano da Bruce Springsteen e Madonna, da Jon Bon Jovi e Lady Gaga? Gli States sono diventati spesso l'atelier dell'Italia artistica, la passerella del nostro talento che talvolta ha bisogno di un lungo viaggio per dichiararsi definitivamente e sontuosamente italiano.
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