La «piazza rossa» di Bologna ieri è stata deprecata da tutti per i fischi a Tremonti. Ma ogni 2 agosto è la stessa storia. E allora c'è qualcosa che non torna. Troppo facile prendersela con le truppe fischianti. Il problema della Sinistra è la sua classe dirigente «non fischiante». Prendiamo la prima pagina dell'Unità di ieri. La faccenda dei fischi è definita «una scusa». E il titolo di prima pagina grida: «Vogliono dimenticare la strage». Chi vuol dimenticarla? Il governo? Tremonti? Ma Tremonti era lì a Bologna, a nome dell'esecutivo, appunto per commemorare le vittime. Dunque perché quel titolo durissimo?
Sembra che - per quella Sinistra - conti solo accusare l'avversario di generica indegnità, non provare una sua colpevolezza. È la vecchia logica dell'odio ideologico: l'avversario è colpevole di esistere. Le truppe leggono e poi fischiano il Nemico. «Vattene verme!», hanno urlato a Tremonti. Ma se non ci fosse andato avrebbero accusato il governo di voler dimenticare la strage...
D'altronde è curioso lo slogan «non dimenticare» in una terra, l'Emilia rossa, dove si è fatto di tutto, dal dopoguerra, per «dimenticare», anzi per oscurare una delle più grandi carneficine della storia italiana, perpetrata innanzitutto in quelle zone e disseppellita da Giampaolo Pansa, dopo 60 anni di silenzio, con il suo libro sconvolgente: Il sangue dei vinti. «Fatti» scrive Pansa «che la storiografia antifascista ha quasi sempre ignorato di proposito, per opportunismo partitico o per faziosità ideologica».
Si tratta di un massacro (circa 20mila vittime) di cui si macchiarono bande partigiane rosse non solo per odio ideologico o di classe, ma perché alcune volevano dare inizio alla rivoluzione (in quella terra dove due decenni dopo nacquero le prime Brigate rosse). Ebbene, si sa com'è stato accolto il libro di Pansa: male.
Ricordo che alla sua uscita mandai dei cronisti di Excalibur in terra emiliana a indagare su due vittime cattoliche: erano due partigiani bianchi, il mitico Giorgio Morelli, detto «Il Solitario», e il «Comandante Azor», cioè Mario Simonazzi (a cui la nipote Daniela ha appena dedicato un bel libro: Azor. La Resistenza incompiuta di un comandante partigiano). I miei colleghi da quelle parti trovarono sguardi ostili, molti «non so» e «non ricordo». Mi piacerebbe chiederne notizia anche a Romano Prodi che nacque proprio a Scandiano, uno dei paesi dove operava «il Solitario». Ha mai dedicato un discorso a quegli straordinari militanti cattolici che furono antifascisti, ma anche anticomunisti e la pagarono?
Forse in Emilia il comandamento «Non dimenticare» è selettivo: c'è l'obbligo di ricordare certe stragi e di dimenticarne altre. Quella del 2 agosto 1980 è da ricordare perché la Sinistra se n'è abusivamente appropriata. L'ha dimostrato ieri Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, parlando al Corriere di «bombe contro la sinistra». Così le vittime della strage, che in realtà furono vittime civili senza colore politico, gente massacrata a caso, sono state espropriate perfino della loro tragedia. Ieri, una delle scampate alla mattanza, Rosaria Bertini, ha confessato il suo dolore alla Stampa per la violenza di quei fischi: «Quando ho visto che hanno cominciato a fischiare mi sono messa a piangere, ero in lacrime... è stata una cosa brutta».
Quale sarebbe il pretesto dei fischi? Ce lo dice sempre l'Unità: «La vergogna dell'impunità». Ma che c'entrano Tremonti e l'attuale governo con i fatti del 1980 e le inchieste della magistratura che dovevano chiarirli? E poi perché «impunità»? Per quella strage sono stati condannati due ex terroristi neri, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, che stanno scontando la pena. Peraltro sulla loro effettiva colpevolezza molti hanno espresso dubbi: non solo Francesco Cossiga, ma anche personalità di sinistra, come Giovanni Pellegrino e Paolo Mieli. Furio Colombo, fino a ieri direttore dell'Unità e oggi editorialista, scrisse coraggiosamente proprio sull'Unità di non credere che i due siano stati gli esecutori della strage (la quale comunque, a suo parere, è di «matrice fascista»).
In ogni caso, al di là della discussione sulla colpevolezza, ci sono delle condanne. E allora perché si dice «strage impunita»? Perché - si aggiunge - mancano i mandanti. Bene. Ma non è forse la magistratura che deve trovare gli eventuali mandanti? La chiacchiera vuole che vi sia un segreto di Stato a causa del quale i mandanti non vengono trovati. Ormai è un ritornello. L'Unità di ieri strillava: «Via il segreto di Stato, lo chiedono i parenti delle vittime». E insieme a loro tutto il solito fronte di dichiaratori. Primo fra tutti Romano Prodi che proprio in quella sede ha annunciato: «Il segreto di Stato deve essere limitato». Poi il sindaco Cofferati che chiede «un dispositivo per l'abolizione del segreto di Stato sulle stragi del terrorismo». Perfino un presunto moderato come Augusto Barbera condanna i fischi, «ma forse» aggiunge «vale la pena indagare le ragioni. Temo che non poco contribuisca l'ambiguità sul segreto di Stato».
E giù cascate di dichiarazioni contro il segreto di Stato: da Marco Rizzo a Paolo Cento, da Pecoraro Scanio a Grillini. Il solito Sansonetti tuona: «È ora di eliminare il segreto di Stato, cosa di cui il centrosinistra dovrà farsi carico se tornerà al governo. Anzi, mi chiedo perché non l'abbia già fatto».
Già, perché non l'ha fatto? E qui comincia la tragicommedia. Perché fra i dichiaratori c'è pure Diliberto che è stato ministro della Giustizia nei governi ulivisti: «Ci uniamo alla richiesta avanzata dall'associazione familiari delle vittime per l'abolizione del segreto di Stato nei reati di strage e di terrorismo».
Ci uniamo? E perché lui e Prodi, che sono stati al governo, non l'hanno già abolito? Forse che il segreto di Stato è stato posto dall'attuale governo? No. Livia Turco lealmente dice: «Mi chiedo che cosa c'entri questo governo». Infatti non c'entra nulla. Tremonti viene fischiato a prescindere.
Ma allora chi l'ha messo quel segreto? Anzi, c'è davvero? Mattia Feltri della Stampa è andato da tutti i dichiaratori chiedendo loro se sono sicuri che ci sia. Tutti hanno nicchiato menando il can per l'aia.
Infatti - questa è la scoperta - non c'è nessun segreto di Stato sulla strage di Bologna. L'ha spiegato al bravo cronista della Stampa Daria Bonfietti, dei Ds, che è stata presidente dell'Associazione delle vittime della strage di Ustica. Riporto le sue testuali e memorabili parole: «Ma insomma, quando quelli sul palco hanno riattaccato con questa storia dei segreti di Stato, io e il senatore Guido Calvi (anche lui Ds, ndr) ci siamo guardati come a dirci, santo cielo, ci risiamo... Eh sì, perché non c'è nessun segreto di Stato, né per Bologna né per Ustica né per altro. È una cosa indegna, un alibi, una scusa per parlare di queste cose una volta l'anno, prendere l'applauso e chiuderla lì. Tanto viene comodo, no? Quelli di destra son tutti porci, noi tutti buoni...».
La Bonfietti indignata aggiunge: «Non esistono stanze coi segreti. Sennò le dovevano aprire Prodi quand'era premier e Diliberto quando era ministro della Giustizia. Sentirli mi ha fatto di nuovo cascare le braccia...».
Certo, scoprire che non c'è nessun segreto di Stato (e nessun governo di centrodestra che l'abbia messo) spazza via ogni mitologia complottista.
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