Semeghini a Mantova: romanticismo sommesso

Il particolare «ritorno all’ordine» del chiarismo, un momento dimenticato del Novecento italiano

La pittura chiarista è sommessa, educata, gentile al punto di occultarsi nel succedersi febbrile delle tendenze e degli artisti del primo ventennio del Novecento, fin quasi a sparire. La parola fu inventata dal critico Leonardo Borgese per definire un gruppo di pittori che prediligevano le gamme tenui, i trapassi lievi, le velature impercettibili: dipingono con colori puri, sopra un fondo bianco, trattando soggetti silenziosi e miti.
Si chiamano Angelo Del Bon, Umberto Lilloni, Francesco De Rocchi, Pio Semeghini, ed erano stati anticipati da Renato Birolli. Erano partiti dal movimento di Novecento e, nell’onda del «ritorno all’ordine», erano risaliti all’Ottocento scapigliato, al tremore leonardesco del Piccio e di Ranzoni, di Tranquillo Cremona e poi ancora più indietro, al Tre, al Quattrocento lombardo, fino ai giotteschi e al magistrale luminismo di Vincenzo Foppa.
«Ingenuità di rappresentazione, colori prevalentemente chiari, vivaci e molto più spesso piatti»: così ne definì lo stile il critico Piero Torriano che raccolse le esperienze di autori diversi accomunandoli all’interno di un rinnovato «romanticismo impressionista». «Era inevitabile», spiega Elena Pontiggia nella presentazione della raffinatissima mostra dedicata a Semeghini e il chiarismo fra Milano e Mantova, ospitata a Palazzo Te di Mantova fino al 28 maggio, che alla stagione classicista degli anni Venti «ne subentrasse una romantica, o meglio, neoromantica».
A Pio Semeghini è dedicata una sezione particolare: il nutrito gruppo di opere che lo rappresenta ricostruisce con disegni e dipinti una delle figure più limpide del secolo scorso. Avvicinatosi in un primo tempo al Novecento italiano, vi importò il gusto per una pittura lieve e trasparente, che tende a ridurre la volumetria allora dominante a una lirica trasfigurazione, spirituale e intima. I soggetti sono quotidiani e familiari, scelti nelle vicinanze della casa, dei prati, il tocco è leggero, l’atmosfera sembra quella di un ritorno non solo all’ordine, ma alla pace della famiglia, a una pittura riservata e destinata a pochi, romanticamente china su se stessa. Anche i temi novecenteschi più classici, i lottatori e gli atleti, sono colti in una dimensione pacata, a riposo.

E poi, fuori, c’è quella pianura infinita delle acque e dei campi, delle chiese solitarie, dei silenzi che oltrepassano il tempo, visioni predilette dal gruppo dei mantovani, Giuseppe Lucchini, Maddalena Nodari, Facciotto, Malerba e Marini che continuarono a raccontare con quel loro colore e quell’aurea chiarezza fino agli anni Cinquanta e Sessanta.

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