«La sentenza d’appello va annullata»

«La sentenza d’appello va annullata»

Appena un mese fa aveva fatto scalpore la sentenza della Corte di Assise d’appello che aveva dimezzato, portandola da 10 a 5 anni, la pena inflitta in primo grado a Stefano Lucidi, il 35enne che nel maggio 2008 aveva investito e ucciso due fidanzatini in via Nomentana. Il reato, infatti, era stato derubricato da omicidio volontario a colposo, escludendo dunque il dolo, l’intenzionalità del gesto. Ma la vicenda non si è chiusa tra i fischi e le proteste di quel giorno: il sostituto procuratore generale Salvatore Cantaro ha appena presentato ricorso in Cassazione, chiedendo di annullare quel verdetto sembrato così assurdo a tanti, in primo luogo ai genitori delle due vittime, Alessio Giuliani e Flaminia Giordani.
«Lucidi - ha spiegato Cantaro - ha usato la sua autovettura come se fosse una micidiale arma di distruzione, accettando deliberatamente e consapevolmente il rischio concreto di uccidere: era perfettamente consapevole che la sua condotta, nel procedere ad altissima velocità anche agli incroci, con semaforo rosso, a quell’ora, in una zona urbana molto frequentata, era tale da rendere quasi certa la collisione con altri mezzi o pedoni, che ne avrebbero patito, come in effetti è avvenuto, conseguenze mortali, anche a causa della potenza e delle dimensioni della sua auto. La circostanza che fosse in preda all’ira o che intendesse terrorizzare la ragazza a bordo, non possono certamente escludere non solo la previsione, ma anche la deliberata e consapevole accettazione del rischio di uccidere altri».
Cantaro dice insomma che il 35enne era ben consapevole a che rischi andava incontro mettendosi alla guida e chiama la Cassazione a ribaltare il verdetto, ripristinando la condanna di 10 anni decisa in primo grado, peraltro «travolgendo il modello giovanile di esaltazione della cultura della morte e riaffermando il principio della sacralità della vita». L’idea di base è che gli incidenti hanno scosso la coscienza sociale «che - si legge ancora nel ricorso - ormai reputa la criminalità stradale una forma di devianza criminale vera e propria», mentre «il criminale stradale è perfettamente consapevole del clima di impunità sociale (e di benevolenza giudiziaria), nel quale le sue condotte sono state finora valutate e persevera nelle sue condotte illecite».
Soddisfazione per le parole del sostituto procuratore generale è stata espressa da Francesco Caroleo Grimaldi, il legale dei genitori delle giovani vittime di quell’incidente. «È importante - ha spiegato - che Cantaro abbia fatto queste dichiarazioni, le accogliamo con favore. Siamo rimasti molto perplessi dopo la sentenza d’appello, non la possiamo condividere visto che esclude in modo ideologico la volontarietà nelle condotte di chi provoca un sinistro da cui segue la morte di qualcuno.

Se ci sono situazioni di imprudenza è accettabile che si parli di omicidio colposo, ma quando la condotta è talmente spregiudicata da porsi la concreta prevedibilità di provocare la morte, allora cambia tutto. Faremo anche noi ricorso in Cassazione, che dovrà dirimere questo conflitto e avrà inoltre la possibilità di creare un precedente fondamentale». Alla corte, dunque, l’ardua sentenza.

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