Sentenze buoniste, il cristianesimo non si rispetta così

Pubblichiamo ampi stralci di un intervento scritto dal professor Introvigne per il sito "la­bussolaquotidiana.it"

Come insegna Benedetto XVI nella «Caritas in veritate» ogni volta che un potere - tanto più non elettivo - viola i principi della legge naturale e prevarica sulle legittime aspirazioni delle persone, la sua funzione tecnica degenera in una ideologia, la tecnocrazia. Negli ultimi giorni abbiamo assistito a due episodi controversi, che inducono a riflettere sull’intera questione della funzione del giudice e dei suoi limiti. Il Tribunale di Roma ha deciso la scarcerazione dei teppisti che hanno messo a ferro e fuoco il centro di Roma, picchiando poliziotti, assaltando Bancomat e bruciando automobili, chiamandoli sempre dei magistrati «manifestanti», quasi che la violenza fosse parte del legittimo diritto di protestare e manifestare. La Corte Costituzionale ha deciso che l’immigrato clandestino che versi in condizioni d’indigenza non può essere espulso. Sulla prima ordinanza il dissenso è stato vasto, e il semplice buon senso fa capire che il buonismo vagamente sessantottino che dimostra comprensione per chi spacca vetrine e aggredisce poliziotti rischia di persuadere altri teppisti che queste bravate comportano pochi rischi (...).
La sentenza della Corte Costituzionale rischia di essere scambiata per un gesto di umanità: non insegna forse la Chiesa che i poveri vanno accolti sempre, a prescindere dai timbri e dai bolli? È certamente così, ma non si deve fare confusione fra la misericordia e la giustizia, fra il ruolo dello Stato e quello della carità di cui la Chiesa si fa interprete (...). La clandestinità, piaccia o no, è un reato: non solo in Italia ma in numerosi altri Paesi «avanzati» e «moderni». Quando il clandestino, nonostante la vigilanza, arriva in Italia, la misericordia della Chiesa lo rifocilla, lo veste, lo aiuta a superare i disagi anche quando deve ritornare al suo Paese. La Chiesa fa il suo mestiere, e chi la critica sbaglia. Lo Stato, però, non è la Chiesa (...). Con quella sentenza la Corte Costituzionale colloca sulle nostre frontiere un grande cartello «Ingresso libero e gratuito ai clandestini», affermando implicitamente che il governo non ha il diritto di regolamentare l'immigrazione. Nonostante le affermazioni di qualche religioso, animato da buone intenzioni che lo portano a confondere il ruolo di misericordia della Chiesa con quello di giustizia dello Stato, questa prospettiva nuoce al bene comune e non è conforme né alla legge naturale né alla dottrina sociale cattolica. Nessun territorio può accogliere un numero illimitato d'immigrati (...).


Se i giudici m'impongono di accogliere cinquanta immigrati in uno spazio che ne può contenere cinque, per di più opponendosi alla volontà chiaramente espressa da governo e parlamento, fanno prevalere un giudizio ideologico sul reale e sul bene comune. Non esercitano la democrazia ma la tecnocrazia, e con questi giudici abbiamo un problema.
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