Senza penna e con il torcicollo Ma dalla vita non volevo altro

Il primo mondiale di calcio da cronista (anno di grazia assoluta 1982) è come il primo amore sui banchi di scuola: non si scorda mai. Nemmeno al ritorno da Berlino 2006. Specie se, come nel mio caso, dopo il prologo vissuto alla periferia dell’evento, fui risucchiato nell’ombelico del mondiale spagnolo tra Barcellona e Madrid. Adesso posso dirlo: vivevo una favola. Lavoravo per Il Corriere dello Sport diretto da Giorgio Tosatti, lavoravo al fianco di mostri sacri come De Cesari e Pistilli, passavo tutto il giorno tra il ritiro di Zibì Boniek e una conferenza di Maradona, eppure mi sembrava di essere al luna park e fa niente se, a Madrid, per la finale, divisi la camera d’albergo con un collega dal sonno pesantissimo.

Alla fine di Italia-Germania mi ritrovai senza taccuino né penna: chissà dov’erano finiti al gol di Altobelli. Mi scoprii anche un torcicollo incredibile: davanti a me, nel Bernabeu, lo spettacolo della finalissima, alle mie spalle lo show di Pertini. Cosa volevo più dalla vita?

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