Limmenso e fatuo dilemma, su cosa fosse larte astratta rispetto allarte che dissero concreta e poi figurativa, su cosa fosse il naturale richiamo delle forme delle cose che scaturivano da quel che si era chiamato in causa per decenni, linconscio, la materia, lautomatismo, linforme, in realtà non è mai esistito. Solo dubbi di catalogatori.
Non esiste un astratto, non esiste un concreto. Oggi non si sa più neppure che cosa sia unopera darte, stretta tra lo stupore delle cifre delle aste e lo smarrimento generale di chi la vede, di chi la fa, di chi non capisce perché una catasta di computer rotti debba diventare un oggetto da accogliere nei musei. Restano le cose e le persone. Chi le fa, nel silenzio dei giorni, e le propone.
Se si guarda allopera di un artista come Roberto Floreani, non si può non condividere un incipit riottoso, riluttante, scontroso. Chi fa, praticandola come una disciplina interiore, arte astratta da trentanni, in Italia e in Europa, non può che essere guardato con un occhio speciale. Roberto Floreani merita un occhio speciale soprattutto per aver saputo imporsi e aver saputo resistere. E le mostre che gli sono ora dedicate, in due musei tedeschi (ora ad Aschaffenburg, Neuer Kunstverein, poi Gelsenkirchen, Staedliches Museum), gli danno, finalmente, ragione. Ovvero danno ragione a noi, in un Paese che cerca i riferimenti ovunque, tranne che dove dovrebbe, e pende dalle labbra degli Stati Uniti, tanto osteggiati nei cortei quanto adorati in tutto il resto.
Concentrazione e silenzio sono le stigmate che Floreani ha imposto al suo lavoro. Solitudine e serietà. Dentro queste parole ha trovato il modo, unico e riconoscibile al punto di venire esposto in un Paese che sa che cosa sia larte contemporanea, di adattare il suo mondo reale, di cose, persone, poeti, idee, al quadrato reticolo di una tela. Dove appare un mondo aperto e accogliente e accolto, in cui batte il gesto della cultura come fosse il rintocco dovuto di un gesto donore.
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