La sfida straniera che aspetta

La scelta del consiglio di sorveglianza di Mediobanca «di proceduralizzare» il ritorno ad una tradizionale forma di governo della società ci sembra saggia per la prudenza e per la determinazione. La prudenza è legata ad una capacità di ascolto anche verso quei manager scelti a suo tempo e peraltro figli autorevoli della nidiata Cuccia-Maranghi. La determinazione è a sua volta legata ad una decisione irrevocabile degli azionisti e cioè l'abbandono del cosiddetto sistema duale che prevede un consiglio di gestione e un consiglio di sorveglianza. Subito si è scatenato un dibattito che ha visto i maggiori opinionisti dividersi in guelfi e ghibellini secondo la migliore tradizione italica. C'è chi ha detto tutto il male possibile dell'uno e dell'altro sistema e chi ne ha tessuto alternativamente le lodi.

In entrambi i casi vi sono state esagerazioni come sempre accade quando c'è di mezzo il tifo. A costo di apparire democristiani, noi riteniamo che entrambe le forme di «governance» possono, di volta in volta, essere delle scelte positive o negative. Come si sa, infatti, le idee camminano sulle gambe degli uomini e i loro comportamenti possono stravolgere le migliori intenzioni o al contrario trasformare in bene ciò che era partito male. Nel dibattito sulla «governance» societaria, infatti, si rincorrono e si intrecciano una serie di valori tutti da tutelare. Innanzitutto l'autonomia gestionale dei manager che, nel caso specifico di Mediobanca, affonda le proprie radici in una tradizione antica difesa con le unghie e con i denti prima da Enrico Cuccia e poi da Vincenzo Maranghi.

L'autonomia gestionale dei manager, però, non può sostituire o addirittura prevaricare la volontà degli azionisti nella scelta delle forme di governo della società. Nel passato con Cuccia questo è avvenuto, ma all'epoca l'azionista di maggioranza era il Tesoro italiano che controllava Mediobanca attraverso le tre banche pubbliche (Comit Credit e Banca di Roma). L'autonomia di Cuccia era poi così forte perché figlia di una accordo politico tra la Democrazia Cristiana e i rappresentanti del vecchio partito d'azione il cui garante era Ugo La Malfa leader di uno dei partiti di governo. La lenta trasformazione della società e della economia italiane portò, alla metà degli anni ottanta, prima alla privatizzazione di Mediobanca e poi alla privatizzazione di tutte le banche pubbliche. E così l'antica autonomia manageriale che era egemone finanche nell'assemblea dei soci, si trasformò soltanto in un valore gestionale da preservare.

Il rischio, in quello specifico contesto di Mediobanca mutato nel corso degli anni, stava oggi, dunque, tutto nella tentazione del consiglio di sorveglianza, nel quale sedevano i maggiori azionisti, di intervenire nella gestione ordinaria e nell'altrettanta tentazione dei manager di essere «dominus» incontrastati anche nelle scelte di fondo che competevano all'assemblea dei soci. A nessuno sfugge che tentazioni così uguali e contrarie potevano approfondire, nel tempo, rotture che non erano nell'interesse di una società quotata. Di qui la saggia decisione degli azionisti di avviare un percorso a termine per ritornare al solo consiglio di gestione distinguendo, secondo le norme vigenti, i diritti e doveri dei manager, dei soci di maggioranza e quelli di minoranza. Questo non significa, naturalmente, che il sistema duale non possa andar bene in altre società come, ad esempio, Banca Intesa-San Paolo.

In quest'ultima, infatti, l'integrazione tra realtà profondamente diverse richiede non solo una capacità manageriale di alto livello ma anche uno sforzo di coesione tra soci forti e autorevoli che può più facilmente crescere all'interno di un organismo come il consiglio di sorveglianza che non nel consiglio di gestione affannato da una quotidianità spesso opprimente. Si rilassino, dunque, i guelfi e i ghibellini in uno sforzo comune nel tutelare i valori fondanti di ogni società, tra cui, innanzitutto quelli della trasparenza e della separazione dei poteri tra manager ed azionisti. Non ci sfuggono, infine, i conflitti di interesse presenti nella compagine azionaria, primo fra tutti quello che vede coinvolto Unicredit che fa in parte lo stesso mestiere di Mediobanca, e men che meno le questioni di potere visto e considerato che Mediobanca è il primo socio di Generali e un azionista autorevole del gruppo RCS, Corriere della Sera oltre che di Telecom.

La saggezza e la determinazione dimostrate oggi da Geronzi dovranno misurarsi nei prossimi mesi con il sotterraneo conflitto tra i circoli finanziari francesi e quelli tedeschi che sono alle spalle di

Unicredit per non parlare, naturalmente, della crescente insofferenza in Telecom degli spagnoli di Telefonica. Ma questo è tutt'altro discorso sul quale ben presto avremo modo di ritornare.

ilgeronimo@tiscali.it

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