Le sfide del Veneto, terra antica già nel futuro

Dice Zaia, candidato governatore Lega-Pdl: «Questa gente è più avanti di tutti ma la sua bussola è nelle tradizioni». I veneti sono l'unico popolo in cui passato e futuro, le torri del Petrolchimico e le cupole di San Marco, coesistono in modo ugualmente radicato

Le sfide del Veneto, terra antica già nel futuro

Scrive Oswald Spengler: «Il Destino è sempre giovane». È sempre più lungimirante degli uomini; precede e anticipa ogni loro mossa o previsione. Per questo, proprio quando ti sei illuso di averlo raggiunto, conquistato, adempiuto in modo perfetto, scopri che in verità non sei arrivato da nessuna parte; che non hai varcato alcun traguardo. Perché il Destino si è già spostato, ti ha già superato. È un nuovo punto di partenza.

A sentire Piergiorgio Cortelazzo, che da due lustri siede tra gli scranni del Pdl a Palazzo Ferro Fini, il Veneto e i veneti sono proprio questo. Mi dice: «Governare questa regione significa compiere atti politici perpetuamente inadeguati. La grandezza di un amministratore, in questa terra, coincide con la consapevolezza del suo limite».

Ha ragione: i veneti sono l'unico popolo in cui passato e futuro, tradizione e avvenirismo, le torri del Petrolchimico e le cupole di San Marco, coesistono in modo ugualmente radicato; in cui Carlo Goldoni è sempre futuro e Giovanni Rana è già memoria, e, insieme e a un tempo, hanno lo stesso diritto di cittadinanza nei libri di scuola; in cui la famigerata «difesa del territorio» è ostinatamente perseguita sia quando si debbono cercare i fondi per il restauro del sublime Duomo di Este, sia per salvare «le pale» dei capannoni, scosse dal terremoto della crisi economica.

Mi spiega Isi Coppola, che è stata assessore al Bilancio: «Fare un bilancio di spesa per edificare la perfezione orizzontale del nuovo Passante di Mestre e distribuire fondi per la celebrazione delle sublimi linee verticali partorite dal genio di Andrea Palladio, è, in fondo, fare la stessa cosa: le energie sociali che muovono a questi obiettivi scaturiscono dallo stesso principio: un senso totalizzante, quasi fisico, carnale, di appartenenza».

Che è come dire: «Il nostro Destino è la nostra appartenenza; il nostro futuro è la nostra identità». E fino a che l'intellighenzia italiota non prenderà coscienza di questo assunto, i suoi parrucconi continueranno a stracciarsi le vesti e i capelli dinnanzi al «preoccupante» successo leghista: un successo non tanto ottenuto, come gridano ai quattro venti i commentatori poco corsari e molto falsari, facendo leva sull'odio verso gli immigrati, sulla caccia al cinese o sulla minaccia della secessione, ma piuttosto sulla rivendicazione di una grandezza negata che si vuole, a ogni costo, affermare.

Quando sarà finalmente chiaro che tanto dietro alla Sagra della Polenta, quanto, come è accaduto pochi giorni fa, nel voler presentare i propri candidati regionali nei freddi saloni di una fabbrica di provincia, risiede un modo di fare politica molto più sottile e complesso di quanto non sia stato fin qui rappresentato? Quando Luca Zaia dice che la Lega è un movimento politico moderno e che il Veneto che ha in testa è una terra votata, destinata, appunto, alla modernità, intende affermare questo: che il popolo che è chiamato a governare è sempre più avanti di tutti, che è dannatamente difficile seguirlo, disciplinarlo, amalgamarlo perché, a differenza degli altri, possiede «la fisica, carnale» bussola del passato, in grado di orientarne, sistematicamente, i passi successivi.

In questo senso, una secessione culturale e morale dall'Italia, i veneti l'hanno già operata; hanno abbattuto barriere, infranto tabù, compiendo la rivoluzione nelle loro coscienze, prima ancora che nelle schede elettorali o nello sventolio dei fazzoletti verdi.
Elena Donazzan, per esempio, che, giovanissima, ha ricoperto l'assessorato all'Istruzione e alla formazione, e sovente, assai critica nei confronti di certa propaganda padana, strabuzza gli occhi e la voce quando sente parlare di «donne» che faticano a fare politica, in altre parti d'Italia; puntualmente soggiogate, isolate, in alcuni casi, «violate», dal potere maschile.

«La prima volta che mi sono seduta al Tavolo del lavoro - mi confida - dinanzi ai poteri forti, quelli, almeno sulla carta, più consolidatamene conservatori; la Confindustria, i sindacati, le associazioni di categoria, non ho avvertito alcun disagio; anzi, il mio essere donna ha rappresentato e rappresenta per i miei interlocutori un motivo in più per profondere collaborazione, fiducia, speranza. La forza delle donne, applicata alla politica, è questa: fanno mille lavori, ascoltano tutti, non cedono a compromessi. E combattono. Combattono sempre».

Parole che hanno trovato una risposta nei fatti, se è vero che alla prima Conferenza dei presidenti delle Regioni, in quel di Roma, l'ex presidente Giancarlo Galan portò con sé il suo assessore al Bilancio; la presentò a tutti

i colleghi e subito si congedò, avvertendoli: «Da oggi in poi, questa signora rappresenta me e tutto il Veneto: auguri».

Il Destino del Veneto è la sua antica giovinezza. E porterà ancora e sempre un nome di donna.

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