Sfrattata per indegnità "nonna cocaina" Il quartiere la difende

Applicata per la prima volta dall’Aler la legge che impone una moralità a chi occupa case popolari

Sfrattata per indegnità 
"nonna cocaina" 
Il quartiere la difende

Davanti a un arresto, ci si immagina che le donne si comportino in maniera pacata, distinta, magari che scoppino in un pianto dirotto. E non certo che si lancino in colorite invettive, arrivando ad aizzare la folla per farla parteggiare per loro. Non le signore di Quarto Oggiaro. Pardon, certe signore. Che ieri mattina sono arrivate persino a cospargersi di alcol, chiamando a raccolta, come delle erinni impazzite, le altre donne del quartiere per impedire quello che ritengono un sopruso. Ovvero l’attuazione dell’articolo 18 della legge regionale del 2004 (mai applicato prima di ieri in Lombardia) della cosiddetta misura di «decadenza dell’assegnazione per gli assegnatari di case popolari» che fanno un uso criminoso, e quindi indegno, dell’alloggio che è stato loro assegnato regolarmente. L’alloggio in questione, in via Capuana 3, era l’abitazione assegnata a suo tempo dall’Aler a tale Anna Luciani, 64 anni, meglio conosciuta come «nonna cocaina», un appellativo che di arbitrario ha ben poco. Due anni fa, infatti, la signora venne arrestata dagli investigatori del commissariato Quarto Oggiaro guidati dal vicequestore aggiunto Angelo De Simone nel corso dell’operazione «Ciak uno» per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti: donna Anna era stata filmata mentre dirigeva, da casa sua, un folto gruppo di piccoli pusher e, lei stessa, venne immortalata mentre consegnava la droga di persona dal balcone di casa, in via Capuana 9 per l’appunto.
Questa signora d’altri tempi - vedova del boss del clan Sabatino e ormai legata a filo doppio con i mafiosi più noti di Quarto Oggiaro, quei Carvelli originari di Petilia Policastro (Reggio Calabria) ai quali ha fatto sposare le due figlie (mogli di Angelo e Vincenzo Cardelli, entrambi in carcere) - dopo una sentenza definitiva che l’ha condannata a dieci anni di carcere, un po’ per l’età e un po’ per il diabete, trascorso un anno e mezzo in cella adesso si trova ai domiciliari in un appartamento di via Mambretti. L’Aler, infatti, da tempo le aveva comunicato che le avrebbe tolto l’alloggio di via Capuana (assegnatole a suo tempo in maniera del tutto regolare) per questa sorta d’indegnità morale stabilita dalla legge regionale. E a nulla è valso il suo ricorso al Tar, che non le ha concesso la sospensiva e, come ha fatto notare ieri il vice sindaco Riccardo De Corato, persino al Consiglio di Stato: l’abitazione, vista la sua attività di spacciatrice conclamata, non le spettava più.
Così ieri mattina, al momento del sequestro materiale della casa da parte dei poliziotti accompagnati dai vigili urbani e dal personale Aler, in via Capuana si sono presentate di gran carriera le due figlie della donna. Una si è cosparsa di alcol e, con in mano un accendino, ha minacciato di darsi fuoco; l’altra ha dato in escandescenze cercando la «collaborazione» delle altre signore della zona. Risultato: una lunga serie di insulti ai poliziotti rei, a dire delle circa trenta donne presenti, «di prendersela sempre con la povera gente anziché con i marocchini».
«Questo comitato d’accoglienza, in un certo senso, ce lo aspettavamo» ha dichiarato Angelo De Simone che ormai conosce gli affiliati dei clan della zona e i loro comportamenti.
«Dopo il no del Tar – conclude De Corato – speriamo che anche il Consiglio di Stato si opponga al ricorso presentato dalla spacciatrice. E soprattutto lo faccia in tempi brevi.

Non dimentichiamo infatti che, così come è accaduto in via Capuana, per far scattare la decadenza dell’assegnazione non serve aspettare una condanna, ma basta un motivato provvedimento di pubblica sicurezza del questore o di un’altra autorità di polizia».

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