"She said": l'indagine che ha scosso Hollywood è diventata un film

Lo scoop delle giornaliste che hanno inchiodato Harvey Weinstein raccontato "al femminile"

"She said": l'indagine che ha scosso Hollywood è diventata un film

È stato uno dei più gravi scandali della storia del cinema americano. Nell'ottobre del 2017 il New York Times con i suoi articoli dava il via alla vicenda che avrebbe portato il produttore Harvey Weinstein in un'aula di tribunale, e poi in carcere, condannato a 23 anni per violenza sessuale.

Che Hollywood prima o poi avrebbe raccontato quella storia era scontato ed era solo questione di tempo. She said, che in Italia arriverà il 19 gennaio con il titolo Anche io, racconta quell'inchiesta giornalistica e lo fa dal punto di vista delle due donne che se ne occuparono. Jodi Kantor e Megan Twohey innescarono la valanga che avrebbe portato alla creazione del movimento MeToo e Hollywood a cambiare radicalmente il suo approccio di fronte alla questione femminile, tanto che anche questo film è il risultato di questa nuova politica hollywoodiana. «Più del fatto in sé stesso ho voluto raccontare le donne che l'hanno creato dice Maria Schrader, alla regia del film su un copione di Rebecca Lenkiewicz, Due donne normali alle prese con un caso enorme e nello stesso tempo con la loro vita familiare, fatta di gravidanze e svezzamenti. Due giornaliste capaci di divedere la propria vita fra esigenze personali e quelle di un'indagine che fin dai primi passi si sarebbe rivelata capace di scuotere l'industria del cinema dalle fondamenta».

A interpretare Jodi Kantor e Megan Twohey sono Zoe Kazan e Carey Mulligan. «È stato molto importante l'approccio voluto dalla regista dice Carey Mulligan in questo modo siamo riuscite a fare un film diverso dai classici sul giornalismo come Tutti gli uomini del presidente o Il caso Spotlight. I film a base di testosterone di prima del MeToo non si facevano domande su questioni triviali come la preparazione del pranzo per la famiglia o l'accompagnamento dei figli all'asilo, ma come genitrice so che sono questioni di cui una persona che ha figli si deve occupare, non importa quale sia la sua professione». Mulligan interpreta Megan Twohey, che pochi anni prima del caso Weinstein, aveva denunciato gli abusi sessuali dell'allora candidato alla Casa Bianca Donald Trump. «Megan è una donna tosta e capace continua l'attrice che, quando iniziò ad affiancare la collega Jodi Kantor nelle indagini su Weinstein, stava uscendo da una depressione post-parto. Anche io ne ho sofferto quando è nata mia figlia nel 2015. È stato uno dei primi argomenti che abbiamo toccato quando ci siamo sentite, la vera Megan ed io. Per lei questo compito professionale ha rappresentato un'ancora a cui aggrapparsi per uscire dalla depressione, ricordo che fu lo stesso anche per me, il lavoro sul set mi aiutò moltissimo». Le riprese del film sono iniziate nel 2021, nella vera redazione del prestigioso quotidiano newyorkese. «Ciò è stato possibile perché con la pandemia tutto lo staff del New York Times lavorava da casa dice la collega Zoe Kazan entrare nelle stanze vuote del giornale è stato surreale. C'erano ancora i quotidiani del 20 marzo 2020, le merendine sbocconcellate sulle scrivanie. Sembrava una scena post-apocalittica, dopo una fuga generale e a sorpresa. Era successo che la direttiva di lavorare da casa era arrivata al termine di un normale giorno di lavoro in redazione. I giornalisti non si aspettavano di non tornare il giorno dopo. Ricordo di aver mandato le foto della redazione vuota alla vera Jodi Kantor, la donna che interpreto. Era un modo per mitigare la nostalgia di cui probabilmente aveva sofferto per quell'addio repentino e forzato». Il primo passo per le due attrici per conoscere le donne che avrebbero interpretato è stato la lettura del libro che le due hanno scritto sulla vicenda. «Ma chiaramente era un libro che non vedeva le due autrici come protagoniste continua Zoe Kazan - era solo il racconto delle indagini che portarono allo scoop. Per fortuna Jody e Megan sono state molto collaborative e sempre in contatto con noi».

Il primo articolo pubblicato a seguito delle indagini di Jodi Kantor e Megan Twohey riportava le dichiarazioni della prima vittima che decise di parlare: l'attrice Ashley Judd. A lei si unirono in seguito Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow, Rosanna Arquette e molte altre giovani aspiranti attrici. Il metodo era sempre lo stesso, che la vittima fosse famosa o meno: Weinstein, con la scusa di un colloquio di lavoro le invitava in una camera d'albergo dove si faceva trovare in accappatoio. Poi chiedeva massaggi e prestazioni sessuali in cambio di una promessa professionale. Ogni possibile ripercussione penale nei confronti di chi tentava di sporgere denuncia veniva scongiurata con un'offerta di denaro previa firma di un contratto che condannava al silenzio.

Su questo aspetto si focalizzava il titolo di quel primo articolo pubblicato: «Harvey Weinstein ha pagato per decenni chi lo accusava di violenze sessuali». Di li a poco una vera e propria valanga avrebbe travolto Hollywood.

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