Sheva: «Non lascio il Milan Ha aiutato la mia famiglia»

Berlusconi intervenne per far operare il padre gravemente malato. «Non esistono problemi con Ancelotti»

Franco Ordine

nostro inviato a Cesenatico

Basta la parola. Come nello spot di quel famoso confetto. Basta un banale avverbio per infiammare la folla del «Battigia» di Cesenatico che aspetta d’incrociare Andrij Shevchenko. «Ci sarà tempo per giocare contro il Chelsea» dice l’ucraino nel microfono e il presentatore segnala l’importanza di quel «contro» che allontana le voci su una partenza per Londra nell’estate 2006. Contro e non «con» come qualcuno, nella confusione, capisce lasciando partire qualche fischio. Nella sera in cui Sheva si ripresenta in pubblico dopo il famoso chiarimento con Ancelotti, richiamato dal suo primo allenatore italiano, Alberto Zaccheroni, a Cesenatico per raccogliere l’ennesimo premio (Ippocampo d’oro, sesta edizione), l’intervento del Pallone d’oro è un colpo mortale al pissi-pissi bau-bau.
«Sull’argomento sarò definitivo: non lascerò il Milan. Perché il Milan, e Silvio Berlusconi, per me e la mia famiglia hanno fatto molto»: la sua dichiarazione ha il valore d’una scelta senza se e senza ma, ancorata ad altri valori che non siano quelli dello stipendio. Andrij non ha mai dimenticato l’intervento di Berlusconi per salvare la vita di papà Shevchenko (ricovero nel centro di Pavia e riuscito trapianto di cuore): questo è il momento giusto per rievocarlo.
Al tavolo con Zac, suo figlio Luca, Sebastiano Rossi, Azeglio Vicini, ex ct della Nazionale, Shevchenko può fare un bagno di folla (in tremila cantano dietro le transenne) e cancellare i nuvoloni apparsi sul cielo di Milanello a proposito dello strappo con Ancelotti, reso pubblico dalle telecamere di Sky. «Quel che ci siamo detti è un fatto privato ma non ci sono problemi tra me e l’allenatore», sentenzia Sheva, e in privato spiega il coinvolgimento di Paolo Maldini. Il capitano venne informato casualmente da Sheva dell’appuntamento col chirurgo ma non toccava a lui parlarne all’allenatore: era compito del responsabile sanitario, Meersseman.
Così c’è solo da interrogarsi sulla compatibilità tra Sheva e gli altri due punteros, Vieri e Gilardino. «È dai tempi di Bierhoff che al Milan mancavano attaccanti con quelle caratteristiche, ora ne abbiamo due e possiamo colmare la lacuna» è la sua idea, seguita da un’impressione positiva sul test americano. «Ho visto in tv le partite, la squadra mi è parsa già piena di voglia»: lui ha disertato solo per il no dei medici, «fosse stato per me sarei partito e avrei cominciato subito». Se questo è il suo patrimonio, il Milan può ancora contare sul miglior bomber in circolazione.
«A ferragosto, durante la sua prima preparazione italiana, gli diedi un giorno di riposo. Lui fece di testa sua e il mattino dopo me lo ritrovai a correre per i vialetti di Milanello» racconta dinanzi alla platea stregata Zac, che dell’arrivo di Sheva fu uno dei protagonisti. «Una sola volta il presidente Berlusconi mi chiese una relazione scritta e firmata prima di un acquisto. Io andai a Londra, per Arsenal-Dinamo Kiev e vidi Shevchenko all’opera.

Adesso che me lo ritrovo qui, con il Pallone d’oro, sono soddisfatto: non presi un granchio quella sera», l’amarcord col quale si conclude la prima notte da milanista ritrovato di Shevchenko. Londra e il Chelsea sembrano distanti anni luce.

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