Si acquista il prestigio di un marchio con una forte identità

Si acquista il prestigio di un marchio con una forte identità
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Chi compra Adelphi, compra il prestigio del marchio, più che quote di mercato: un catalogo non solo di alto livello ma anche coerente con la visione dei fondatori e dei primi collaboratori. Per fare qualche nome: Luciano Foà, Roberto Bazlen e un giovanissimo Roberto Calasso, direttore editoriale dal 1971. La casa editrice nacque per pubblicare l'opera omnia di Nietzsche, in origine destinata a Einaudi, che la ritenne fuori linea, troppo «di destra» per semplificare. In realtà alla nascitura casa editrice interessava l'aspetto irrazionale del filosofo tedesco. L'Adelphi non fa politica militante. C'è, probabilmente, l'idea di fondo che la rivoluzione sia un fatto necessario ma interiore e sia inutile salire sulle barricate.

Bazlen aveva in mente una (non) collana «di libri unici» che finirono poi per diventare la gloria del marchio. I fondatori avevano l'occhio lungo e ben allenato. Prima acquisirono il catalogo di Frassinelli, poi guardarono con attenzione le scelte di Sugarco e di Rusconi. Scelte eretiche che assumevano immediatamente un'identità «Adelphi». Gli autori hanno conferiscono l'aura ad Adelphi, ma è vero anche il contrario. Il marchio è così forte e come si diceva coerente da influenzare il nostro modo di leggere certi autori. È accaduto con Georges Simenon, da «giallista» a «classico» non appena entrato nel catalogo. Accadrà con Philip Roth, l'ultimo acquisto: e qui non si tratta di conferire la patente di classico, Roth in fondo ce l'ha già, rilasciata da milioni di lettori in tutto il mondo. È qualcosa di più profondo: Roth resta il liberal di origine ebraica che conosciamo ma diventa anche lo specchio della dissoluzione di una parte dell'Occidente: meno Lamento di Portnoy e più La macchia umana, che mostrava, in anticipo, il triste esito del politicamente corretto, ovvero la discriminazione al contrario e il clima di delegittimazione reciproca.

Cediamo la parola a Roberto Calasso: «L'irrazionale amava congiungersi con il decadente, altro termine di deprecazione senza appello. Non solo certi autori, ma certi generi erano condannati in linea di principio. A distanza di qualche decennio può far sorridere e suscitare incredulità, ma chi ha buona memoria ricorda che il fantastico in sé era considerato sospetto e torbido. Già da questo si capirà che l'idea di avere al numero 1 della Biblioteca Adelphi un romanzo come L'altra parte di Kubin, esempio di fantastico allo stato chimicamente puro, poteva anche suonare provocatorio».

C'è il filone esoterico e tradizionale rappresentato da René Guenon, ad esempio. C'è la narrativa più raffinata e accompagnata, svolta recente, da accurate note filologiche: Carlo Emilio Gadda, per citare un peso massimo. C'è la Mitteleuropa, che va da Kafka a Joseph Roth.

C'è un'attenzione non comune per la scienza e non solo nella chiave divulgativa che ha reso bestseller Spillover di David Quammen. C'è tutto ciò che è stato ed è dissidente: Joseph (Iosif) Brodsky come Vassilij Grossman.

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