Si costruisce la barca in giardino per tentare il giro del mondo

Serena Coppetti

Gargano. Esterno, notte. Una casa che si affaccia sul mare. Sul balcone, quasi fosse la tolda di una nave, un bambino. Lo sguardo lontano, verso le luci dei pescherecci che picchiettano il buio. L’immagine si stringe su una barchetta a remi, proprio lì sotto. Ancora da finire di costruire. Cinquant’anni dopo. Chianti, Toscana. Un uomo con la barba lunga come quella dei vecchi lupi di mare guarda dalla finestra il suo podere. Là in mezzo c’è una barca, 12,87 metri. Ancora da finire. Dissolvenza. Titolo. Se fosse un film la storia di Tonino De Felice comincerebbe con queste due scene. Con quella barchetta di due metri e mezzo fatta di legni imbullonati e spalmata di catrame che la mamma fece sparire immediatamente appena si accorse che galleggiava davvero. È il «13 metri» rosso che dopo 50 anni Tonino si è costruito tutto da solo. Pezzo a pezzo. Ci ha messo sei anni. Lì ha buttato tutti suoi momenti liberi e tutti i suoi risparmi. E ora è quasi finito. In mezzo a quelle due barche corre la sua vita. Una parentesi dentro la quale c’è una moglie, una figlia, c’è un lavoro in banca di quelli in giacca e cravatta, ci sono i suoi libri di nautica, eppoi i viaggi per mare. Sempre troppo pochi, sempre troppo di corsa. Ora l’equazione della sua vita potrebbe quadrare. Perché Tonino finalmente la barca, la sua barca ce l’ha fatta a costruirsela. E con quella barca finalmente potrà fare il giro del mondo. Ha 57 anni ed è praticamente in pensione. Ma il richiamo del mare non lo ha mai abbandonato. C’è nato sull’acqua della Puglia. Ci è cresciuto in tempi in cui da quelle parti si potevano fare due cose: pescare o cacciare. Ai boschi lui non ha mai pensato. Quando nel ’72 si è trasferito a Firenze, è andato a lavorare in banca, «la prigione», la chiama. Ma Tonino è uno di quelli che si adattano. E lo fanno pure sorridendo. Si è adattato a stringere tutte le mattine il nodo della cravatta intorno al collo. Si è adattato alla vita di campagna, ha fatto l’orto, la vigna, ha piantato gli alberi da frutto. Si è anche via via ristrutturato la casa, da solo ovviamente. Ma poi quel pallino gli rimbalzava sempre nella testa. Sarà stato per via di quella barchetta a remi che la mamma gli fece sparire a dieci anni appena l’aveva finita di costruire. C’avevano messo mesi lui e il suo amico Carmine. «L’ha portata via la finanza», gli raccontò la mamma quando s’accorse che con quella barca Tonino sarebbe potuto andare lontano. Ossia mettersi nei guai, per come la vedeva sua madre. Lui non si ricorda se ha pianto. Ma l’idea di costruire la barca non se l’è tolta dalla testa. E poco importa se le colline toscane sono dolci e ondulate: il mare «è un’altra cosa». Il mare se uno ce l’ha dentro non se lo leva più. Sei anni fa, quando Tonino ha visto che la pensione era vicina, che la figlia era sistemata col suo bel lavoro da restauratrice, un giorno ha preso l’Antonietta da una parte e le ha detto che stava per cominciare a costruire la sua barca. Lei che gli sta accanto da 34 anni, sapeva bene che quella storia prima o poi sarebbe successa. E che se cominciva così, sarebbe finita che Tonino sarebbe andato lontano. L’Antonietta per un po’ ha messo il muso. Però il Tonino lei lo ha sempre appoggiato. Ed è per questo che stanno ancora insieme «e siamo sempre innamorati», dice lui. «Tornerò, qualche volta», promette lui. «Altre volte mi raggiungeranno loro». Lui ora deve andare. Certo, se tornasse indietro, magari la barca se la prenderebbe usata, bella, ma di seconda mano. Farsela non conviene. Anche se è venuta proprio di lusso. «Sarà che sono partito con le lire ed era tutta un’altra storia». Ma che fatica. I sacrifici. Le pizze perse, le ferie mai più fatte. Eppoi la stanchezza. Il tormento di quel telone che copriva il suo cantiere nel podere di casa spazzato via ogni volta che soffiava il vento. «D’altronde mica potevo fare una cosa di muratura. E chi glielo spiegava ai vigili poi che quella casa in giardino di quindici metri per sette mi serviva per costruire una barca». Il dolore. Ha fatto chilometri di saldature. E per quelle sì che ci ha pianto. A curargli le lacrime c’era sempre l’Antonietta, che chissà quante patate ha sbucciato per fargli gli impacchi e sfiammargli gli occhi. No che non conviene. Ha cominciato ordinando una cosa come 2.700 chili di lamiere. Poi si è fatto fare i calcoli dal nipote che è ingegnere nautico e lavora in cantiere. Insomma «non sono mica partito a bischero sciolto». Tanto è vero che, dopo un paio di anni di lavoro, quando aveva già pronto lo «scheletro», ha chiamato il Registro navale italiano per controllare e certificare che la barca seguiva regole precise e corrette di costruzione.
A chi gli chiede se è sicuro che galleggia, lui risponde con una battuta: «Vorrà dire che casomai si trasformerà in sottomarino». Quando l’avrà provata, quando la barca si sarà fatta conoscere sui mari grossi e ventosi, allora il programma si farà ambizioso. «Ci sono tanti amici che mi stanno aspettando sul Gargano.

Poi, a primavera prossima, altri amici mi hanno prenotato un posto barca in Spagna per la Coppa America». Dopo c’è il giro del mondo. Ah, la barca si chiama «Tochan», si legge un raffinato «toscian», ma «To» sta per Tonino, «Ch» per Chiara e «An» per Antonietta. Buon vento, Tonino.

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