Voleva perdere peso e per questo si era sottoposta a un intervento per la riduzione dello stomaco. Ma dopo undici giorni dall'operazione, avvenuta lo scorso 8 marzo all'ospedale Humanitas di Rozzano, Anna Giugliano, 28 anni, era stata riaccompagnata, sofferente, al pronto soccorso per dolori lancinanti alla pancia. Ricoverata in terapia intensiva e sottoposta a tre operazioni chirurgiche d'urgenza in poco più di 24 ore, morì, come stabilito dall'autopsia, a seguito di uno «shock settico da peritonite». Nei giorni scorsi la pm milanese Valentina Mondovì ha chiesto l'archiviazione per i due indagati, i due medici specializzati in chirurgia bariatrica che hanno effettuato l'operazione di sleeve gastrectomy, cioè la resezione verticale dello stomaco. «Gli esiti delle indagini preliminari scrive la pm - non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna degli indagati, né si ravvisano i presupposti per dare corso a ulteriori accertamenti».
I consulenti della procura, in una prima relazione, avevano rilevato che l'intervento fu eseguito secondo le «linee guida» e con modalità e tecniche operative adeguate. Anche le dimissioni della paziente, a parere degli esperti, furono eseguite in rispetto dei protocolli, in quanto la paziente si trovava in condizioni di «stabilità clinica». E poi «non era prevedibile» la complicazione in cui incorse la 28enne, cioè una rottura a livello dei punti di sutura, che ha provocato una grave infezione addominale. Dalle indagini difensive, effettuate con il coordinamento dell'avvocato della famiglia della ragazza, Simone Ciro Giordano, è emerso che Giugliano contattò più volte i medici dell'Humanitas, avvisandoli di avere la febbre. Un segno clinico importante, secondo i tecnici, ma di fronte al quale i medici reagirono con una risposta «inadeguata». Il medico avrebbe dovuto convocare la paziente per «accertamenti mirati» e di fatto vi fu un ritardo di «36 ore» rispetto all'accesso della paziente in pronto soccorso, il 19 marzo. Eppure, sono le conclusioni dei periti, considerata «l'estrema gravità delle condizioni cliniche», l'accertato «avanzato quadro infettivo in atto a carico del cavo addominale» e «l'assenza di profili di censura» nei trattamenti eseguiti nel corso dell'ultimo ricovero, «non è possibile allo stato affermare con elevato grado di probabilità prossimo alla certezza» che se Giugliano fosse stata ricoverata in «tempistiche precoci» si sarebbe salvata.
L'avvocato Giordano ha chiesto alla procura di
sequestrare il telefono della donna, anche per rilevare le altre comunicazioni con i medici, ma il gip ha negato il sequestro. La famiglia è decisa a dare battaglia e presenterà a breve opposizione alla richiesta di archiviazione.
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