Siamo il Paese dove non si va mai in carcere

da Milano

Un cittadino sprovveduto, dopo aver letto i dati in arrivo da Londra, scambierebbe l’Italia per un paese quasi senza criminalità. Anzi, il paese virtuoso per eccellenza. Possibile? Non abbiamo la mafia, la camorra, la ’ndrangheta? E un numero senza fine di rapine, furti, scippi? Però dopo aver studiato le tabelle dell’International Centre for Prison Studies del King’s College, sappiamo che l’Italia è lo stato con meno carcerati in rapporto alla popolazione. In testa alla lista, lontanissimi, gli Usa con 2.300.00 detenuti, in pratica un abitante su 100, 750 ogni centomila adulti secondo le valutazioni degli esperti della capitale britannica. A scendere l’Inghilterra (più il Galles) con 80.229 detenuti, ovvero 148 ogni 100mila adulti; poi la Spagna che ne ha 66.129, dunque 147 su 100mila; più in basso la Germania che si ferma a 76.629 detenuti, 93 per 100mila adulti e la Francia che è a quota 52.009, equivalenti a 85 su 100mila abitanti.
L’Italia? Non c’è paragone con nessuno: siamo il paese degli angeli, anche se nessuno se n’è accorto, con 39.348 carcerati. O meglio, solo la Danimarca, nel suo piccolo fa come noi con 67 detenuti ogni 100mila adulti.
Digeriti i numeri resta la sostanza: il quadro, lo capirebbe pure un bambino, stride. C’è un senso di insicurezza percepito ovunque, da Milano a Palermo, e con cadenza quotidiana i giornali lanciano l’allarme. Abbiamo regioni intere infestate dalla grande criminalità, abbiamo semisconosciuti e poco invidiabili record. Uno per tutti, le rapine in banca: nel 2005 sono state 2.735 contro le 728 della Germania e le 122 del Regno Unito. In pratica, il 48,11 per cento degli assalti agli istituti di credito in Europa si verifica in Italia. Eppure la nostra popolazione carceraria è bassissima.
Certo, i dati raccolti dagli specialisti del King’s College vanno interpretati e risentono dell’effetto indulto: dopo aver raggiunto quota 60.710 detenuti, nell’estate 2006 le nostre prigioni si sono svuotate o quasi e l’esercito dei detenuti è precipitato sotto le 40mila unità. Ora la risalita è ripresa e siamo intorno a quota 50mila. Presto, con un incremento di mille unità al mese, si tornerà alla barriera dei 60mila, ma anche con numeri del genere siamo sotto la media Ue. Spagna e Inghilterra sono lontanissime per non parlare degli Usa che hanno cifre per noi spaventose.
E allora conviene fare un passo indietro e allineare tre dati: in un anno vengono commessi in Italia circa 2,8 milioni di delitti. Un insieme sterminato di furti, rapine, omicidi e quant’altro. Attenzione: il 30,6 per cento delle vittime non denuncia neanche l’episodio che gli è capitato. Infine, il 78,8 per cento dei reati resta impunito. Ecco il dato che riassume il disastro italiano e spiega, forse, la scarsa frequentazione delle carceri. Tre reati su quattro, anzi di più, non trovano un colpevole. Che però c’è e va tranquillamente in giro. Dunque, il numero così esiguo dei nostri detenuti è il segnale del fallimento del nostro sistema, non di un’inesistente declino della criminalità. In Italia l’azione penale è obbligatoria, ma in pratica diventa una lotteria: un certo reato viene perseguito, un altro no, moltissime volte - pensiamo ai furti in casa - le indagini sono nominali o poco più; come se non bastasse i processi, e pure le indagini, durano un’eternità, i tribunali sono ingolfati da milioni di procedimenti, spesso la sabbia nella clessidra della giustizia finisce e quel procedimento viene dichiarato prescritto. Insomma, vista dal punto di vista dei delinquenti la macchina giudiziaria è una pacchia. Siamo in affanno, siamo in ritardo, non garantiamo la sicurezza invocata dai cittadini, in compenso - altro dato preoccupante - l’Italia ha 1,39 giudici ogni diecimila abitanti contro gli 0,91 della media Ue.

Come mai? Cosa non va?
Eppure, con 50-60mila detenuti le nostre strutture carcerarie vanno al collasso. Non ce la fanno e l’indulto, sia pure controvoglia, appare l’unica soluzione: più delinquenti in giro, meno in carcere.

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