Ci sono dipinti così grandi nella grande mostra del più grande tra i grandi artisti contemporanei, da pesare anche duecento chili. Sulla tela - dentro sopra appiccicato - c'è tutto: vernice, sabbia, acciaio, piombo, oro, tessuti, Memoria, argilla, gommalacca, paglia, leggende, canzoni, miti antichi, gesso, Storia, ghiaia, asfalto, cartone, tutte le religioni del mondo, legno e resina.
Se c'è una mostra da vedere, oggi, in Italia, che sia questa. Un palazzo fiorentino, un cortile con un quadro-scultura maestoso che vale la visita, otto sale che sono ognuna una installazione, 25 opere, una delle quali frammentata in 60 quadri, e un titolo-guida: Angeli caduti (apre domani, fino al 21 luglio, a Palazzo Strozzi a Firenze, a cura di Arturo Galansino). La mostra è un percorso che attraversa tutta la cultura (arte, architettura, letteratura, storia, filosofia, archeologia, politica...) e tutte le tecniche (pittura, scultura, fotografia, performance...) e celebra un artista-monumento, Anselm Kiefer. Tedesco innamorato come tutti i tedeschi dell'Italia, a un passo dagli 80 anni, è il testimone di un continente e di un secolo, un uomo figlio del Novecento e figlio dell'Europa. Niente post-umanesimo, trans-umanesimo, nuove tecnologie o intelligenza artificiale, anzi. Ma cruda pittura, materia, guerre, sogni, orrori, speranze e uomini caduti.
Ecco, si comincia da qui. Nel cortile rinascimentale di Palazzo Strozzi Anselm Kiefer ha innalzato un quadro-scultura imponente e solenne, 7 metri e mezzo per 8 e quaranta, titolo Engelssturz (Caduta dell'angelo), un'opera - ispirata a un dipinto del '600 di Luca Giordano - che rimarrà per tutta la durata della mostra esposta alle intemperie, cambiando giorno dopo giorno, perché l'arte non finisce mai. Nella parte superiore - la meta-fisica, il mondo spirituale - su uno sfondo d'oro abbagliante si staglia l'arcangelo Michele; in quella inferiore - la parte fisica, la dimensione terrena - incollati alla tela, tra vernice e terra, ci sono gli abiti contemporanei degli angeli sconfitti: tute, giacche, felpe, cerate. Nella eterna lotta apocalittica tra Bene e Male, gli angeli caduti siamo noi.
Poi si sale, al piano superiore. L'arte come redenzione?
La mostra è un pellegrinaggio lungo otto ampie stanze dai soffitti altissimi per ospitare le grandi opere di Kiefer, la sua sconfinata ambizione e le sue infinite visioni. Se a Venezia, terra del colore, due anni fa, l'artista entrò a Palazzo Ducale e lo annullò con i suoi dipinti monumentali, qui a Firenze, terra della linea, si adatta all'architettura esistente. Piccola nota a margine. Kiefer nel suo gigantesco hangar-atelier a Croissy, fuori Parigi, per preparare la mostra ha ricostruito le sale di Palazzo Strozzi in scala 1:1. Poi ha scelto alcune vecchie opere e ne ha realizzate molte di nuove, e le ha disposte una a una negli spazi fiorentini. Di fatto è un'unica, enorme opera site-specific.
Tra le sale da segnalare. La prima, con un dipinto a tutta parete, Luzifer, che torna sul tema degli angeli caduti. Lucifero e i suoi guerrieri-ribelli precipitano come tuniche vuote mentre un'ala dell'angelo vittorioso esce dalla tela, per due metri e oltre, in mezzo alla stanza. Suggerimenti indiretti: il mito di Icaro, il volo dell'uomo inventato a Firenze da Leonardo, la tracotanza, la Libertà, la distruzione.
La seconda, con tre opere - in un trionfo di foglia d'oro, alchimia e girasoli - ispirate al Sol invictus e alla figura storica di Eliogabalo, il ragazzo-imperatore che amava rivestire il corpo di lamine d'oro e tentò di imporre il culto siriano del dio sole Baal, e finì assassinato. Temi: la superbia, l'Eliogabalo anarchico-incoronato di Antonin Artaud, il Super-Eliogabalo di arbasiniana memoria, i girasoli di Van Gogh e i «fiori del sole» coltivati nei suoi terreni dallo stesso Kiefer.
La sala sei, mozzafiato: una spettacolare Wunderkammer completamente ricoperta di quadri di diverse dimensioni (sono i «dipinti irradiati») eseguiti negli ultimi quarant'anni di carriera dell'artista, dagli anni Ottanta a oggi, e che lo spettatore si ritrova sulle pareti, sul soffitto e - attraverso un lungo specchio posto al centro della stanza che dà l'idea agghiacciante del baratro che si apre sotto i nostri piedi - anche sul pavimento. È l'arte stratificata e totalizzante di Kiefer. Idee che si riflettono qui dentro: templi classici, muri, campi di concentramento, la furia della Natura, la fragilità dell'uomo, la sua ferocia. Ci metterete un po' a uscire da qui.
E l'ultima, l'ottava. La più pericolosa. Preparatevi ad avere di fronte le fotografie, oggi stampate su grandi lastre di piombo, quasi degli stendardi militari, che un giovane Alselm Kiefer, nel 1969, all'epoca studente all'Accademia di Belle Arti, si fece scattare mentre emulava il saluto nazista con indosso la scalcagnata uniforme da ufficiale della Wehrmacht del padre.
È la serie di «simboli eroici», Heroische Sinnbilder. Lo fece per sbattere in faccia alla Germania il passato ingombrante che si voleva dimenticare e fu accusato di essere un neo-nazista. Qualcuno, forse, lo farà anche oggi. La politica, come l'arte, non finisce mai.
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