Mai stato così grigio, il cielo come l’umore dell’Inter. Pioggia che scende, silenzi ad Appiano, cancelli chiusi, pochi tifosi, l’attesa festosa di altre domeniche si è trasformata in una sorta di veglia funebre. Merito di una straordinaria sceneggiatura a cui la società ha contribuito con tocco d’artista. Così è l’Inter di oggi, piena di speranze ma con qualche disillusione. Squadra delle imprese impossibili e degli autogol inverosimili. Stavolta si avvia a giocarsi il campionato in partita unica: è valso a nulla stare in testa per due anni di fila, perdere appena quattro partite. È costretta a vincere: vincere una partita per vincere un campionato. Sennò tutto sarà affidato al caso, che per il vero, ultimamente, non le ha detto bene. Pericoloso affidarsi alla scaramanzia, c’è il rischio che qualche cuore ceda. Parma non ha mai portato risultati e fortuna, l’arbitro Rocchi pure. Avrà contro uno stadio intero e una marea di gufi di tutta Italia.
Ieri Mancini ha provato tutte le strategie possibili, conta sul recupero di Ibra in panchina, crede ancora nella mira di Cruz, così sbilenca contro il Siena, nella freschezza di Balotelli che rappresenta il controsenso di tutto quel riempirsi la bocca circa forza e dimensione della rosa nerazzurra: un ragazzino, l’ultimo arrivato, diventa l’ancora di salvezza. Perché i campioni annaspano, latitano, fanno peso solo nel budget degli ingaggi. Fra l’altro Ibra e Cruz sono stati i marcatori dell’ultima vittoria nerazzurra a Parma, nel novembre 2006. Stavolta serve che la squadra giochi bene e sbagli poco, soprattutto in difesa. Sulla sinistra fileranno Maxwell e Cesar, in area Rivas (ieri Burdisso non si è allenato) dovrebbe affiancare Materazzi. Cose già viste, già dette, già sentite. Moratti che si affida alla sua scaramanzia andando a trovare la squadra prima della partenza, silenzio stampa come fosse un amuleto portafortuna, tutto totalmente diverso da com’era apparsa l’Inter di campionato in queste ultime due stagioni: forte, superiore, convinta di se stessa, ricca di gran giocatori e di gente caratterialmente decisa.
Qualcosa si è rotto, oggi l’Inter è alla soglia di una doppia resa dei conti. Comunque vada, non mancheranno temporali. Moratti sta per riappropriarsi della leadership dopo averla condivisa con Mancini, pur a fatica. Forse non è un caso che il 18 maggio di 40 anni fa suo padre abbia, invece, lasciato la società. L’allenatore pensa soltanto a raddoppiare lo scudetto, perché altrimenti anche l’orgoglio suo ne uscirebbe spezzato, non solo l’Inter. Poi vada come vada. Lasciarsi o dirsi addio? Sarà forse una domanda retorica. Tecnico e presidente si sono già lasciati. Allenatore e squadra stanno insieme perché conoscono il segreto di queste situazioni: dimenticare tutto e pensare solo al bene comune. Per litigare c’è tempo. Oggi è il tempo della paura.
L’ultima Inter non può tranquillizzare nessuno: 9 punti nelle ultime 7 partite in trasferta (derby compreso) sono un campanello d’allarme anche per la roulette russa di Parma. La squadra ha conquistato 13 punti in meno rispetto all’andata, dieci li ha persi in esattamente tre mesi. La storia dell’Inter è troppo ricca di beffe, colpi di scena in negativo, stravaganze e autogol per non preoccupare. Inutile continuare a parlare del 5 maggio. Questo 18 maggio potrebbe esser peggio. Mancini e la squadra non ci vogliono credere. Le intercettazioni telefoniche sono state l’ultimo segnale che c’è qualcosa di malaugurante in questo loro campionato.
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