Il sindaco delle Isole Tremiti difende Gheddafi sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno. E pochi giorni dopo perde il posto, sfiduciato da sette consiglieri comunali - quattro della maggioranza, tre dell'opposizione - che davanti a un notaio di Termoli (molti consiglieri vivono nella cittadina molisana) rassegnano le dimissioni. Un atto formale che, una volta protocollato, porterà allo scioglimento del consiglio.
Il casus belli va ricercato nelle esternazioni di Giuseppe Calabrese, questo il nome del primo cittadino, che non ha affatto rinnegato l'amicizia con Gheddafi e con la Libia. «Le parole di Calabrese - si legge nel comunicato stampa diffuso dai quattro ex consiglieri di maggioranza - ci lasciano allibiti e indignati. Ci dissociamo una volta per tutte dal modo di pensare del sindaco e per rispetto delle tante vittime civili libiche, assieme ai colleghi di minoranza, abbiamo rassegnato le dimissioni che saranno messe a protocollo il prima possibile presso gli uffici di segreteria del Comune». Ma per il sindaco delle Isole Tremiti non sarebbe questa la vera motivazione delle dimissioni che potrebbe portare presto alle elezioni. «Era già da tempo in corso una crisi» replica. «Ma non mi piego a ricatti di consiglieri e assessori. Io non ho mai detto che il leader libico doveva essere assolto e che, eventualmente, poteva venire qui alle Tremiti. Figuriamoci se veniva da noi». Per il sindaco in ballo ci sono motivazioni molto meno nobili. «Quello che è in gioco - spiega Calabrese - sono interessi privati di alcune persone interessate all'accaparramento di terreni per il Piano regolatore, altro che il Rais». «Comunque - conclude - a questo punto è meglio che si vada tutti a casa. Io continuerò a fare politica, lo faccio perchè mi piace risolvere i problemi della gente, non per arricchimento personale».
In realtà l'amicizia tra le Tremiti e la Libia del Rais ha origini antiche. Nel 1987 il Colonnello dichiarò che le Tremiti appartenevano alla Libia e che nell'arcipelago delle Diomedee vivevano i discendenti del suo popolo. Questo perché nel 1911, durante il colonialismo, 1367 libici furono deportati nelle carceri delle Tremiti a bordo di tre piroscafi. Poi nell'ottobre del 2008 un gruppo di abitanti, su base volontaria, si sottopose al test del Dna per scovare geni libici e verificare se ci fossero conferme scientifiche alle parole del Rais. L'esito del test risultò negativo ma tra Gheddafi e Calabrese, si instaurò un legame d'amicizia. Il primo cittadino ha incontrato il leader libico ben quattro volte, ricevendo a Tripoli anche l'«Al Fatha», una onorificenza assegnata in «segno di stima e amicizia, a coloro che si sono attivati per riportare un clima di amicizia e di cordialità con il popolo libico», per aver costruito sull'isola di San Nicola un sacrario dove sono seppelliti i resti di 400 libici morti per un'epidemia di tifo dopo lo sbarco tra il 1911 e il 1912. Anche alla luce di questo rapporto, Calabrese ha ribadito anche in queste ore di sangue a di caos la sua stima per Gheddafi. «È un leader che è riuscito a governare diplomaticamente la sua nazione. Nei miei viaggi in Libia non ho mai incontrato malcontento tra la popolazione e disparità sociali. Non c'è informazione su quello che sta accadendo: c'è qualche immagine registrata dai telefonini, ma tutta questa gente in piazza io non la vedo». Calabrese rivendica il suo comportamento lineare e coerente. «Fino a ieri facevano la gara per essergli amici. Io vedo che quelli che scendono in piazza non sono semplici manifestanti, ma sparano. Il palazzo del governo è stato incendiato.
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