Il socialismo (ir)reale del Barça

Il socialismo (ir)reale del Barça

«Il calcio deve uscire dalle farmacie», tuonava sussurrando Zdenek Zeman nell’era pre-Calciopoli (il calcio vive di ere molto brevi, cinque anni sono un’eternità...). Giustissimo, sacrosanto. Ma oggi, per farci comprendere l’essenza del Calcio, cioè il Barcellona, ça va sans dire, dove ci porta Sandro Modeo? In farmacia.
Non temete, nel suo libro Il Barça. Tutti i segreti della squadra più forte del mondo (Isbn, pagg. 198, euro 13,90) nessuna ombra di doping insidia la meravigliosa orchestra pedatoria blaugrana. Al contrario, la ditta Messi&Co. vi è esaltata come inimitabile esempio di football «totale». Accade semplicemente che il giornalista e scrittore calciofilo e scienzofilo, per illustrarne la superiorità strutturale, chiama in causa nientemeno che la resistenza dei batteri agli antibiotici. Dunque, secondo la spiegazione lamarckiana e «istruzionista» è lo stesso antibiotico a sollecitare nei batteri una «mutazione adeguata alla sopravvivenza». Mentre secondo un’altra spiegazione, quella darwiniana e «selezionista», sono i batteri a produrre «numerose, incessanti mutazioni a prescindere dall’interazione con l’antibiotico», e allo stesso modo agiscono i nostri anticorpi di fronte agli agenti patogeni: mettono in atto numerose strategie per vincere la partita, memorizzando poi quella più efficace. La scienza, aggiunge Modeo, dice che hanno ragione i «selezionisti», non gli «istruzionisti». E conclude affermando che gli «istruzionisti» stanno al «calcio passivo-attendistico» come i «selezionisti» stanno al «calcio attivo-costruttivo-offensivo». Insomma, da una parte difesa e contropiede, dall’altra possesso palla, pressing e tattica del fuorigioco.
Non sappiamo come si trovi Giovanni Trapattoni in panchina insieme a Jean-Baptiste Lamarck. Magari lo manda in campo quando c’è bisogno di addormentare il gioco a centrocampo. Ma di certo se riferiranno a Pep Guardiola che qualcuno l’ha accostato all’autore dell’Origine delle specie, un sorrisetto compiaciuto comparirà sul suo volto da bravo ragazzo. Ora, lungi da noi l’affermare che l’ex mediano del Brescia (sia detto con tutto il rispetto) fa parte, insieme al neofita Antonio Conte, della vasta schiera degli allenatori desiderosi di apparire antipatici perché vincenti. Ma andare a frugare tra le molecole o addirittura, come fa Modeo, nelle pieghe della fisica quantistica contrapposta a quella classica per suggellare con la ceralacca della Scienza il tiki-taka che ipnotizza gli avversari, per quanto narratologicamente parlando piacevole ed efficace, ci pare un tantino esagerato.
Se invece parliamo di filosofia... Beh, il discorso cambia. Perché il calcio di «filosofie», pur accessoriate di virgolette, si nutre da sempre. Soprattutto quel tipo di calcio figlio degli anni Sessanta che, nato nell’Olanda dei provos, trova nel Barça un nipotino irreggimentato in un’apparente fantasia al potere. Apparente perché nella cantera catalana che sforna talenti a ciclo continuo la disciplina è degna di un collegio svizzero. Il «calcio totale», come conferma Modeo enumerando i suoi padri della patria Bill Shankly, Vic Buckingham, Bob Paisley, Rinus Michels, è diretto discendente del collettivismo e di un socialismo reale ma utopistico. La linea parte dall’epopea dal Liverpool operaio, passa dall’Ajax libertario e, tramite le schegge impazzite di Zeman e Arrigo Sacchi e, soprattutto, il magistero di Johan Cruijff, termina, per ora, la sua corsa al Camp Nou. Lì lo spumeggiante Milan della triade Berlusconi-Sacchi-Van Basten vinse la Coppa Campioni dell’89.

Lì e ovunque nel mondo, oggi, scatenano la magia delle loro giocate i folletti Xavi, Iniesta, Pedrito, Villa e Messi. Sono i paladini di un proletariato elitario. Visto che le ideologie sono morte da quel dì, non ci resta che il 4-3-3.

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