Nessuno sapeva cosa fosse l’eco-ansia fino all’esibizione di un'ecoansiosa fanciulla al Giffoni Film festival, dinanzi al ministro Gilberto Pichetto Fratin, che col suo sfogo ha definitivamente lanciato come hit dell’estate progressista il concetto di eco-ansia.
Non poteva essere diversamente in una cosi totalizzante campagna fanatico ambientalista con tendenze apocalittiche, alla quale siamo tutti quotidianamente sottoposti dal coriaceo tambureggiare dei media progressisti, per non parlare dei variegati e variopinti opinionisti liberal che annunciano urbi et orbi l’immediato sopraggiungere della fine dei tempi, per colpa del negazionismo climatico, che però essi vedono solo nel ristretto e ininfluente - in materia - Occidente.
Di certo la giovane Giorgia, “l’altra Giorgia” secondo Repubblica, ha spostato l’orizzonte della campagna eco-fanatica in uno stadio ulteriore, soggettivo, individuale, nella cosiddetta ecopsicologia. Tanto che a navigare sui social si scopre che l’Ordine degli psicologi del Lazio, in collaborazione con altri ordini regionali ( Abruzzo, Emilia-Romagna, Marche, Sicilia e Veneto) tra i corsi gratuiti per gli iscritti propone quello “Uomo e Natura: dalla Psicologia Ambientale, alla Psicologia dei luoghi, all’Ecopsicologia”. I professionisti si preparano all’arrembaggio di eco-ansiosi, che arriveranno a flotte per manifestare la loro ansia dovuta alla potenza distruttiva dell’uomo bianco, occidentale e ovviamente negazionista (quindi di destra). Il timore reale però è che si banalizzi un tema serio e preoccupante soprattutto per i più giovani.
Non è un dibattito solo italiano, ma un tema già manifestatosi nella patria dei liberal ecosostenibili e della Silicon Valley, gli Stati Uniti, dove secondo una ricerca dell’American Psychological Association pubblicato nel 2017 viene definita l’eco-anxiety come “la paura cronica della rovina ambientale”. Dove per eco-ansia si intende un fitto concatenarsi di fattori di natura ambientale che produce appunto ansia, come la conseguenza degli eventi estremi, e gli esiti che questi fattori producono sulla società. Una condizione che secondo gli psicologi americani potrebbe condurre a veri e propri attacchi d’ansia o alla depressione.
Sul tema nel 2005 il filosofo australiano Glenn Albrecht coniò il termine solastalgia in un articolo pubblicato sulla rivista Philosophy Activism Nature dal titolo sufficientemente evocativo: “Solastalgia” A New Concept in Health and Identity. Secondo Albrecth si tratta dello stato d’angoscia dovuto alle conseguenze del cambiato climatico. Ad esserne interessata è prevalentemente la cosiddetta generazione Z che si ritiene non solo colpevole per le conseguenze della crisi climatica, ma avrebbe generato - lo vediamo tutti i giorni - comportamenti autodistruttivi.
Questo è il frutto di una campagna mediatica massiccia che colpisce i più giovani, che vivono già da parte loro la crisi della società occidentale, post-moderna, generata proprio da quelle stesse menti che alimentano il dibattito sul cambiamento climatico con toni aulici ed estremi, provocando un generale appiattimento su una narrazione a senso unico e cosa abbastanza usuale per gli ambienti liberal che non ammette contraddirono o perplessità.
Sembra però che come denunciato da molti psicologi non allineati, tra cui il nostro Paolo Crepet, sull’ambiente e sulle conseguenze individuali si stia facendo marketing. Si è entrati in un circolo vizioso che vede in tutto il frutto del cambiamento climatico e nell’uomo l’unico responsabile. Perché alla fine il tutto si riduce ad una sequela infinita di slogan come nel caso della signorina Giorgia o degli eco-vandali di Ultima Generazione che fattivamente non producono nessuna idea o proposta e in concreto non fanno nulla, cosi “l’altra Giorgia” nel suo discorso bagnato dalle lacrime da eco-ansia non ha proposto fattivamente nulla, solo elencato slogan, come la frase fatta sul “non arriveremo al 2050”.
Mettere in dubbio questa narrazione ad oggi significa essere additati come negazionisti e nel nostro Paese, dove è sempre pronta una certa dose di teatralità, arriva Angelo Bonelli che propone addirittura “il reato di negazionismo climatico”.
Non vi è nulla di scientifico, ma semplicemente il consolidarsi di un’ideologia eco-folle dai risvolti ansiogeni, sopratutto per i più giovani, che è stata attaccata non da Donald Trump, o Robert Kennedy jr (par condicio da primarie) ma da Jim Skea, che non sarà Giuliano Amato, non avrà presieduto la Consulta, ma è un fisico dell’Imperial College di Londra e guida Ipcc, l’agenzia delle Nazioni Unite sul controllo del clima, il quale ha detto in poche semplici parole che la narrazione che si sta facendo è esagerata, e che si è vero la terra si riscalderà (1,5 gradi
entro il 2030) ma non dobbiamo autoprovocare crisi esistenziali, che danneggiano un serio contrasto ai fenomeni inquinanti. Detto in parole semplici, meno parole che producono ansie, più fatti concreti per custodire la terra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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