I dati che emergono dal Rapporto Espad sulla violenza giovanile sono preoccupanti. Quasi un milione di studenti delle superiori (l 40%), tra i 15 e i 19 anni, ha partecipato a risse nel 2023. Nel 2019 la percentuale era del 33%. Il 4,2% dei giovani ha colpito un insegnante mentre il 3,7% ha usato un’arma per ottenere qualcosa. Cosa sta accadendo ai nostri ragazzi? Ne abbiamo parlato con la neuropsichiatra infantile Giusi Sellitto dell'ASST - Santi Paolo Carlo, referente NPI del carcere minorile Cesare Beccaria di Milano.
"Questi numeri parlano di rabbia, disperazione, di confini che non si tengono più, che si invadono e si attaccano - spiega la dottoressa -. Non deve quindi stupire che anche in Italia si stiano installando metal detector all’ingresso delle scuole, come accade da decenni negli Stati Uniti. Il rapporto evidenzia inoltre un legame diretto tra comportamenti violenti e fattori di rischio come il consumo di sostanze psicoattive e l’uso problematico di Internet. Alcol, droghe, una vita online: per molti adolescenti questi sono strumenti che anestetizzano il disagio o, peggio, lo amplificano, rendendolo esplosivo".
Dal suo osservatorio clinico cosa vede?
"Segnali sempre più chiari: un impoverimento delle capacità metacognitive. I ragazzi di oggi hanno sempre più difficoltà a pensare, a collegare azioni e conseguenze, a costruire nessi di causa-effetto. E questo non è un caso. Viviamo in un’epoca in cui si dialoga sempre meno, in cui le risposte arrivano subito, pronte, spesso polarizzate, urlate. I punti di domanda si sono ridotti a strumenti retorici: li usiamo per provocare, ma la risposta ce la diamo da soli".
Si può dire che gli adulti abbiano delle colpe?
"Forse abbiamo insegnato ai ragazzi che sapere significa avere risposte, e non fare domande? Eppure, è proprio dalle domande che nasce il pensiero. Smettendo di porle, li abbiamo diseducati a riflettere. Chiedere a Google o a una piattaforma di intelligenza artificiale è ormai un gesto naturale, istintivo. Loro rispondono subito, senza esitazioni, senza dubbi. Perché confrontarsi con un professore, con un genitore, quando si può ottenere una certezza immediata online? Così facciamo noi, così fanno loro. Ma Internet non propone pause, non insinua dubbi. Ci stiamo abituando a vivere senza tollerare l’attesa, senza sopportare la frustrazione, senza prenderci il tempo per capire".
I nostri ragazzi sono incapaci di reagire ai problemi?
"Quando arriva una delusione – un brutto voto, una relazione che non si sviluppa come speravamo – non sappiamo più come gestirla. Cerchiamo di spegnerla subito: con un gesto impulsivo, con una sostanza, con un’aggressione. Tutto deve essere immediato. E in questa corsa, in questa mancanza di tempo, i dati ci dicono che sta cambiando anche la nostra forma mentis".
Chi ha causato tutto questo?
"Prima di attribuire la responsabilità alla scuola, ai genitori, ai servizi o alla politica, fermiamoci un attimo. Quanto spazio dedichiamo al pensiero? Al dialogo? Quanto siamo capaci di ascoltare davvero?Recandosi a scuola per parlare con i professori, sarebbe importante mostrare curiosità e chiedere: 'Ma lei come vede mio figlio?'. Allo stesso modo, un professore potrebbe rivolgersi ai genitori domandando: 'Come lo vede a casa?'. Abbiamo bisogno gli uni degli altri: di tornare a contaminarci, a scambiarci esperienze, a rallentare per cercare risposte e allenare il pensiero. Anche noi specialisti dobbiamo fare di più. Condividere il sapere, fare rete, tornare a divulgare la conoscenza scientifica anche nelle scuole, non solo sui social".
I social, però, hanno le loro colpe..
"Siamo circondati dai social, dalle piattaforme digitali. Fanno parte di noi. Ma dobbiamo essere consapevoli di ciò che stiamo perdendo e di ciò che possiamo ancora recuperare.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.