Abbiamo sottovalutato Barbie per oltre quarant’anni. Siamo stati prevenuti e quindi limitati nel giudicare i suoi setosi capelli biondi, l’invidiabile stacco di coscia, le tette erette a sistema. Per noi era quell’insopportabile, inarrivabile cheerleader che tiravamo fuori dal cassetto delle bambole solo nelle giornate di pioggia e autolesionismo, quando eravamo disposte a reggere tutto quel glamour, quegli accessori, quei mazzi di fiori inviati dai quarterback, quello sfavillio da vincente negli occhi. E invece non avevamo capito niente. Anche ora che ha cinquantotto anni, e la plastica tirata come un tempo, Barbie è una donna ancora in piena costruzione di se stessa. È una donna che non smette mai di entrare nella sua consapevolezza, che studia, si migliora, evolve, si infervora per le cause più importanti. Tanto che oggi, l’algida biondina nella quale nessuna avrebbe mai pensato di potersi immedesimare, vuole invece essere lo specchio perfetto per chiunque decida di veder riflessa la propria immagine. Vuole che possano specchiarsi in lei le donne curvy, le bambine in sedia a rotelle, quelle calve, quelle con una protesi alla gamba, o le ragazzine affette dalla sindrome di Down. In nome dell’inclusione, infatti, l’ultima nata in casa Mattel è una Barbie con gli occhi un po’ allungati, l’espressione dolce e una collana appesa al collo con il «cromosoma 21», quello di chi ha la sindrome di Down, appunto. È l’ultimo «modello» politicamente corretto uscito dalla fabbrica Mattel.
Ed è bello e interessante e giusto capire se, e come, una bimba in sedia a rotelle o con un arto mancante, o con un problema di sovrappeso provi conforto nel maneggiare una bambola con il suo stesso «problema» o se invece provi sollievo nell’immaginarsi con sembianze diverse. Ma a questo risponde la casa madre della bambola più famosa al mondo: «In quanto brand di bambole con il maggior numero di rappresentazioni di diversità sul mercato, Barbie svolge un ruolo importante nelle prime esperienze di ogni bambino e bambina e per questo ci impegniamo a fare la nostra parte per contrastare lo stigma sociale attraverso il gioco», ha affermato Lisa McKnight, Executive Vice President e Global Head di Barbie & Dolls di Mattel. E aggiunge anche la McKnight: «Il nostro obiettivo è quello di consentire a tutti i bambini e le bambine di rivedersi in Barbie, incoraggiandoli anche a giocare con bambole che non assomigliano a loro. Il gioco con le bambole può insegnare la comprensione e creare empatia, rendendo il mondo più accogliente».
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