Socrate: il filosofo martire che santificò la ragione

Socrate superstar. Uno di quegli uomini, per dirla con Hegel, «cosmico-storici», dotati di un’interiore veggenza, capaci di creare collisioni dirompenti tra se stessi e il sistema in cui vivono. Individui speciali, chiamati a sacrificare la vita perché una loro idea possa esplodere fino all’universalità. Alessandro con la fine precoce, Cesare con il corpo trafitto dalle pugnalate, Napoleone esule a Sant’Elena diedero corpo e globalità a un concetto politico di Stato sovranazionale.
Socrate battezzò con la cicuta il progetto di un’etica superiore. Poteva mancare la sua figura in volume che si intitola La cultura dei Greci? Sesta puntata della Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, domani in accoppiata con il Giornale, il libro è una vasta rassegna tematica sui saperi classici: dal drammaturgo al medico, dall’artista all’oratore, dallo scienziato al sofista. Il nocciolo aureo è il logos, la parola sensata, razionale, persuasiva. Un valore di culto, di cui quella civiltà di ha lasciato eredi.
Socrate ne fu il missionario. Predicatore instancabile, non registrò mai su pagina le sue dottrine. Le incise nella mente dei suoi. Platone vi edificò l’idealismo, pietra d’angolo del pensiero. Ma tra le pagine del libro che stiamo presentando scopriamo aspetti meno noti della comunicazione socratica: l’aneddoto, la memoria fisionomica, il rapporto con Cristo. L’arguzia ironica scintilla in un bozzetto lasciatoci da Senofonte. Critòbulo è un interlocutore a un simposio, una bevuta tra amici. Chi è il più bello, tra i due? Socrate, forse, con quel naso rincagnato, le pupille globose, le labbra tumide? Certo! Che cos’è la bellezza, se non aderenza a una funzione? Socrate, fiorettista del diverbio ragionato, non lascia scampo. Narici spalancate, come le sue, captano gli odori da ogni direzione. Critòbulo le ha proporzionate, rivolte al basso: raggio d’azione minimo. Quanto alle labbra «siliconate», sono imbattibili al morso e al bacio. Un faccia così non si dimentica. Ne derivò infatti il ritratto fisionomico, responsabile del nostro immaginario fisico di un Socrate silenico, cranio sferico e calvo, grosso naso schiacciato. La prima effigie commemorativa fu eretta decenni dopo la sua morte, pare per tardivo pentimento degli Ateniesi che l’avevano giustiziato. Lo scultore avrà lavorato di memoria e suggestioni. Il suo modello fu Sileno un demone mitico, irsuto e intemperante, ma di saggezza tale da farsi pedagogo di dei, come Dioniso.
E c’era dell’altro. Si vendevano ad Atene statuette-giocattolo di Sileno, aspetto esteriore ridicolo, ma con all’interno la sorpresa di un minuscolo nume d’oro. Così era Socrate, un involucro non proprio da Mister Universo, con il tesoro segreto di virtù infinite.

Ecco pronto l’antesignano di Cristo, che alla miseria del suo patibolo di legno legava il più luminoso destino di salvatore, segno di contraddizione tra le ipocrisie dell’uomo irredento e la verità divina, colui che esortava a non avere timore di chi ammazza il corpo, ma non ha potere sull’anima, come Socrate dichiarò che i suoi accusatori potevano anche ucciderlo, ma non fargli del male. Ora pro nobis, sancte Socrates, esclamava Erasmo che in quell’ellenico «prototipo dei nostri martiri» scorgeva un’ombra profetica del Redentore.

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