da Tolcinasco (Milano)
Credeteci o no ma qualche volta, nel golf, si può arrivare molto in alto, giocando in coppia con un’ombra. Anzi, con due ombre. Che si danno saggiamente il cambio, a seconda delle circostanze. Per raggiungere lo stesso traguardo. Quel sorriso che stempera le delusioni. E spazza via persino quei bunker che, nei periodi bui, sembrano montagne troppo alte da scalare.
Marco Soffietti, trent’anni, da Rivoli, pedala da sempre in silenzio. Con l'umiltà, che è l'humus nel quale coltiva ogni sua parola, prima di regalartela in una conversazione. Decimo nella classifica generale dell’Open numero 65, che si è chiuso ieri a Tolcinasco, primo degli italiani, meno 17 il suo score. Cioè 271 colpi, distribuiti nelle quattro giornate di gara. Con quel suo terzo giro, quello strepitoso 63, che gli aveva già fatto conquistare, in anticipo di ventiquattr’ore, la popolarità. Buffo a dirsi ma ieri, nel medesimo istante in cui Marco imbucava sul green della diciotto la sua pallina di fine gara, si levava il seguente commento dalla tributa gremita di spettatori: «Adesso il golf italiano non ha più soltanto i due fratelli Molinari, ha anche Soffietti». Riflessione ineccepibile.
Che lui, quando, pochi minuti dopo, in sala stampa, gliela riferiamo, condivide. E soppesa: «Ho sempre lavorato. Ho vinto, anche. Ma non mi stupisco che una prova, come questa in un Open, possa improvvisamente farmi conoscere. Una popolarità che certo non mi dà fastidio, intendiamoci, ma che mi può solo spronare a far meglio. Perché quando ci si sente finalmente in forma allora il grande risultato si può cercare con convinzione e si può anche centrare presto. Io intanto torno a lavorare nell’ombra, in silenzio. Come ho sempre fatto». Nell’ombra, dunque. Nell’ombra lui.
E, al suo fianco, altre due ombre. Che pedalano a turno sul suo stesso tandem. La prima, Loredana Dolci, è la compagna dai lunghi capelli corvini che, da tempo, è al fianco di Marco. Che lo ha aiutato a tenere assieme la vita e la carriera professionale nei momenti difficili. Che se ne sta in disparte sempre e comunque. Che è sempre lì, come ieri, alla diciotto, ad accoglierlo con il suo tenero abbraccio. «Ho una vita sentimentale serena, sto davvero bene con lei e ho anche la fortuna di essere circondato dall'affetto di tante persone», commentava ieri Marco.
E una delle persone che gli è più vicino, che lo ha visto crescere. Che non gli ha mai negato un consiglio, un'iniezione di fiducia, è l'altra sua ombra, Sergio Bertaina. Il maestro dei maestri. Geniale, quanto riservato. Che lavora nell'austerità del suo Piemonte, allevando talenti: Edoardo e Francesco Molinari, Marco Soffietti, per citare le più recenti perle della sua collana di gioielli dello swing. È stato Bertaina, dopo quel fantastico giro di venerdì a ripetergli al telefono: «Vai avanti, tranquillo, non mollare». Ma era stato sempre Bertaina, il primo giorno di gara, quando Marco alla sette e alla otto ha deragliato, infilando un bogey e un doppio bogey a dirgli: «Se non sei un uomo, vai a casa. Come si fa a giochicchiare così? Cerca di convincerti di quello che puoi fare». «Mi rendo conto - ammette Bertaina - che a volte posso anche essere sgradito, risultare antipatico. Ma con lui so che mi posso permettere di dire questo e altro. Marco giovedì è rimasto zitto, sono convinto che quella frase gli ha fatto bene, lo ha fatto riflettere. Il risultato dell'Open se lo merita e sono davvero felice». Ma che cosa dice, vincendo la sua riservatezza, il maestro dei maestri, di Marco Soffietti? «Dico che con Marco come con i fratelli Molinari sono più spettatore che attore.
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