Il sogno di Marras si ispira a «L’amante» e conquista Parigi

Daniela Fedi

da Parigi

«I piroscafi risalivano il fiume di Saigon a motori spenti». Comincia così l'ultimo capitolo dell’Amante, struggente romanzo autobiografico di Marguerite Duras che ha fatto da motore di ricerca per la quarta collezione Kenzo disegnata da Antonio Marras. La sfilata andata in scena ieri a Parigi è invece finita con le 60 modelle sul ponte della nave ricostruita in passerella per ribadire un messaggio meravigliosamente lanciato dai vestiti: il sogno del viaggio per mare di una francese molto elegante vista con gli occhi di un italiano molto colto. Al di là della commozione inevitabile davanti a un'immagine evocativa del felliniano «E la nave va», nel settore dedicato alla presse d'Italie serpeggiava l'orgoglio per il successo di un connazionale in questa stupenda e difficile città che non fa sconti a nessuno quando si parla di moda. «In soli due anni Marras ha saputo ricreare una forte identità per Kenzo facendo crescere il business del 21 per cento» dicevano invece soddisfatti i dirigenti del Gruppo Lvmh (Louis Vuitton Moet Hennessy) che da tempo controlla la griffe.
Del resto la bellezza dei modelli parlava da sola: mai visto un uso così moderno e raffinato delle classiche righe bianche-rosse-blu che da sempre caratterizzano il perfetto stile marinaro. Gli ampi pantaloni a vita alta si alternavano alle lunghe gonne enfatizzando l'armoniosa silhouette dell'eterno caban blu che Marras profila con gli stessi tessuti fantasia (piccoli pois su fondo azzurro, righe a contrasto oppure quadretti da tovaglia) usati poi sugli abiti, le camiciette e gli accessori. Tailleur fatti con i centrini di pizzo, lunghe tuniche lavorate all'uncinetto e spettacolari abiti da sera (aveva qualcosa di speciale perfino lo smoking indossato da Simonetta Gianfelice per far la parte del ricco amante cinese della ragazzina) completavano il cerchio di una superba collezione in cui non mancavano delicati riferimenti all'infanzia perduta. «Li ho trovati nell'archivio di Kenzo - ha detto Marras - e visto che il libro parla dell'accesso adolescenziale al desiderio, mi è sembrato giusto ristabilire le distanze tra etica ed estetica». Così ha fatto disegnare la stoffa di un camicione a balze al figlio Leo di sette anni e ai suoi compagni di classe. E questo modello confuso tra gli altri metteva l'accento sul lato umano della rarefatta eleganza francese degli anni Trenta.
Dall'Indocina alla Riviera nello stesso periodo storico il passo è breve se a farlo è un maestro come Jean Paul Gaultier che per la divina collezione Hermés si è ispirato alle indimenticabili fotografie scattate da Henri Lartigue a Deauville o in Costa Azzurra. Il lusso estremo di una candida camicia allungata fino a diventare la versione moderna dello chemisier, lo chic stellare di un affusolato completo pantaloni-soprabito con il classico motivo della «Toil de Jouy» da tappezzeria stampato su seta verde oppure aurora e la straordinaria armonia di forme, decorazioni, colori, rispondevano nel modo migliore all'antipatica domanda: «Perché spendere cifre da capogiro per vestire Hermés?». Per conquistare un allure da vera signora non basta una Kelly in coccodrillo (c'erano anche quelle, formato mignon, oltre alla nuova versione pochette declinata anche in Panama, come gli onnipresenti cappelli) serve piuttosto quel certo non-so-che magistralmente tradotto in moda dallo storico marchio nelle mani di Gaultier.

Non basta neppure un innegabile talento nel taglio e un buon esercizio di stile sugli accessori per salvare la più brutta collezione disegnata da Alexander McQueen. La sua idea della dea greca in salsa rock era hollywodiana senza emozione e già ampiamente vista. Da uno stilista così ci si aspetta di più.

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