Marco Mazzoli: "Sono il re della radio ma mi licenziano sempre"

Scrive e conduce lo «Zoo di 105» il programma più seguito in Italia. Ama beffe, eccessi e provocazioni. Il risultato? Il suo show è già stato sospeso 7 volte

Marco Mazzoli: "Sono il re della radio ma mi licenziano sempre"

Scrive e conduce il programma radiofonico più seguito in Italia: lo Zoo di 105, iniziato addirittura nel 1999, ha picchi di audience certificati di 3 milioni di ascoltatori, nonostante l'orario di messa in onda, tra le 14 e le 16, non sia esattamente facile dal punto di vista radiofonico.

Lui, Marco Mazzoli, 44 anni, è il ragazzo terribile dell'etere italiano. Terribile perché non si fa mancare nulla: dai litigi in diretta (in una occasione gli insulti scambiati con uno dei suoi tecnici furono così pesanti che il programma venne immediatamente interrotto) alle prese in giro di vip e meno vip, con annesse e pesantissime querele. Non c'è scandalo sessuale che sfugga ai suoi commenti, non c'è funzione corporale così delicata da non poter essere affrontata in termini più che espliciti nelle scenette del programma. Mazzoli ci scherza su: «Una volta, tanti anni fa, ho detto in trasmissione Wuber alludendo all'organo sessuale maschile ed è successo il finimondo. Oggi non ci sono limiti e nessuno ci fa più caso. Lo stile sopra le righe l'hanno copiato tutti. Giuseppe Cruciani della Zanzara l'ha anche ammesso. Anche se poi quando siamo in onda vogliamo solo far ridere, le parolacce sono una virgola».

Parolacce o no, come si fa a farsi ascoltare ogni giorno da qualche milione di persone?

«Le giuro che me lo chiedo anch'io. Tanto più che ormai il programma dura da quasi 18 anni. L'unica risposta è che faccio cose che farei comunque. Sono un bambino che ha la fortuna di divertirsi con un gioco come la radio. Io e la mia squadra siamo rimasti infantili, dei ragazzi da bar Sport con la capacità di sdrammatizzare tutto. Quindi un segreto non c'è, anche se dietro quello che sembra solo cazzeggio c'è un lavoro pazzesco, di scrittura, recitazione, controllo. Io quando sono a Milano alle nove del mattino sono già in radio».

Ogni tanto, però, c'è chi la critica per qualche eccesso...

«Noi ci diciamo che il nostro è un programma di successo che non piace. Nel senso che capisco che qualcuno possa anche sentirsi respinto dalle cose che diciamo o facciamo. Il filo comune è l'atteggiamento goliardico verso la vita. Certo adesso mi fa un po' ridere che dopo 18 anni, sulla pagina Facebook del programma, che ha 2,8 milioni di follower, ci sia ancora qualcuno che si lamenta per questa o quella parolaccia».

Ci sono anche le querele.

«I malcapitati che prendiamo di mira a volte non stanno allo scherzo. Ci ha denunciato Rossella Brescia, la show girl, per alcune battute sui suoi legami sentimentali. Poi Enrico Ruggeri, il cantante. Mia moglie mi costringeva a vedere X Factor quando era giurato. E io nel commentare il programma ho detto forse in termini un po' coloriti, quello che mi è venuto in mente, che era tristissimo. Poi c'è stato Costantino Vitaliano, il tronista, lui, poverino l'abbiamo martirizzato per settimane. La nostra è stata spesso una navigazione turbolenta. Per darle un'idea: il presidente della radio Alberto Hazan mi ha licenziato almeno setto od otto volte e a un certo punto mi ha fatto perfino un contratto che prevedeva una multa di 7mila euro per ogni parolaccia che dicevo. Per risparmiare sul mio stipendio veniva dietro i vetri dello studio e mi sfidava: dilla una parolaccia, dilla...».

Un altro vostro cavallo di battaglia sono gli scherzi telefonici...

«A lavorare con me sono una decina di persone e uno si occupa solo degli scherzi, ha l'archivio completo di tutti i numeri di telefono che abbiamo chiamato negli anni. Il peggiore è stato ai danni di una nonnina di 80 anni. Il numero ce l'aveva dato il nipote, che conoscendo la vecchina sapeva ne sarebbero venute fuori delle belle. Uno di noi l'ha chiamata e abbiamo avviato una bollente storia di sesso telefonico. Siamo arrivati ai peggiori atti sessuali in diretta; lei non si è mai tirata indietro, anzi. Poi abbiamo deciso che i due dovevano conoscersi e abbiamo organizzato una serata in una discoteca dalle parti di Verona. C'erano 10mila persone, tutti ascoltatori, la nonna si è bevuta tutto ed è sempre stata convintissima della sua storia d'amore e di sesso».

La reazione peggiore a uno scherzo?

«Il peggio è stato quando sono entrato nel mirino degli animalisti. Premetto che a me gli animali piacciono, mi è morto il gatto e mi sono perfino tatuato il nome sul braccio. Però in una puntata abbiamo parlato di cani e gatti e abbiamo detto che i cani assomigliavano di più agli uomini, i gatti alle donne. Abbiamo fatto qualche battuta. Qualcuno ha frainteso, mi hanno accusato di aver spiegato in diretta come si cucinano i gatti e non era vero. È partita una campagna dei collettivi animalisti, una roba impensabile: il programma è rimasto chiuso un mese, mi hanno tagliato le gomme dell'auto. Ho dovuto espiare andando a pulire gattili e canili per settimane...».

Ma la sua carriera radiofonica come è iniziata?

«A 14 anni, in una stanza sul retro di un oratorio in provincia di Como. Era l'epoca delle radio libere ed è stato amore a prima vista. Io da piccolo stavo a Los Angeles, perché mio padre lavorava per la Walt Disney. Poi siamo tornati e siamo andati ad abitare in Brianza, dalle parti di Montevecchia. Ero timidissimo, un orso, prendevo il treno per andare al liceo a Lecco e piuttosto che sedermi vicino a qualcuno stavo in piedi tutto il viaggio. Con la radio mi sono sbloccato, dico scemate, perdo il controllo. Del resto anche molti attori sono introversi. Mia moglie me lo dice sempre: mi aveva affascinato il brillante conduttore radiofonico e mi ritrovo un marito che è una noia, non parla, non ride, non va alle feste...».

Poi, dopo le prime radio libere...

«Sono passato da una radio locale a una regionale; da una radio più piccola a una un po' più grande. A 105 sono arrivato per i programmi del week-end, sperando in raffreddori e improvvise afonie dei conduttori più importanti. Poi è arrivata l'estate, molti sono andati in ferie, ho avuto più spazio e sono piaciuto. Lo Zoo di 105 è nato così. Ad un certo punto, per premio, mi hanno mandato a New York per avviare la prima radio americana di 105. L'America è la mia passione, il mio sogno, tre anni fa ho anche preso la cittadinanza. Da qualche tempo mi sono trasferito a Miami, dove ho aperto una mia attività».

Cioè?

«Ho una radio. Adesso sono arrivato a 13 dipendenti, le cose non vanno male. Diciamo che per le radio mi sento come quei meccanici che ascoltando il rumore di un motore capiscono al volo che cosa non va. È questione di sensibilità, riesco a tirare fuori il meglio dalle persone. A Miami ho affidato un programma a una drag queen, un travestito. Solo che non andava d'accordo con l'altro conduttore e allora sono andato io in trasmissione. È diventata popolare come Platinette in Italia».

Ma se lei sta a Miami come fa a condurre lo Zoo?

«La tecnologia può tutto, bastano una macchinetta e due cavi telefonici in fibra che eliminano ogni ritardo del suono. Vedo e partecipo alla vita dello studio come se fossi lì. Ai fini di chi ascolta è esattamente come se fossi a Milano. Ogni tanto, naturalmente, vengo in Italia e il resto lo fa l'affiatamento con la mia squadra. L'unico aspetto negativo, visto il fuso orario, è che a volte mi dove alzare alle cinque e mezza per preparare la puntata».

E i suoi punti di riferimento, i suoi modelli radiofonici quali sono?

«In Italia ho avuto tre maestri, Alberto Hazan, l'uomo che ha creato il gruppo Finelco, di recente ceduto, almeno in parte, a Mediaset, Claudio Cecchetto, e il direttore di 105 Angelo de Robertis. Cecchetto mi ha insegnato la regola che ancora oggi tengo sempre presente. Quando accendi il microfono hai tre scelte: o dici qualche cosa di estremamente intelligente, o qualche cosa di estremamente simpatico o metti un disco. Poi in America ho un altro punto di riferimento, Howard Stern».

In Italia non è molto conosciuto.

«In Italia no, ma negli Usa è un mito ed è stato l'iniziatore del tipo di trasmissione radiofonica ispirata alla provocazione che è poi quella che faccio anch'io. Già negli anni Settanta faceva delle trasmissioni folli insultando ospiti e ascoltatori. Una volta aveva invitato in studio Julia Roberts, la star di Hollywood, tutta perfettina. Con lei, senza ovviamente dirle nulla, aveva invitato il campione mondiale di peti. Lei parlava e il campione si scatenava. L'effetto era irresistibile».

Dipende dai gusti. Ma il meccanismo vincente in radio qual è?

«Uno solo, quello di rompere le regole consolidate. Nel bene o nel male».

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