Sorelle si impiccano insieme sul lungomare

Diego Pistacchi

da Genova

Sempre insieme. Insieme quando hanno trovato la sorella più piccola morta nella cucina invasa dal gas. Insieme ieri mattina all’alba, tra le barche dei pescatori, e il viso reclinato, il collo stretto in una corda appesa a una scala scrostata. L’ultimo sguardo, l’una per l’altra, Beatrice e Piera Rua, sorelle che hanno fatto una vita allo specchio e che hanno scelto di morire allo stesso modo, nello stesso momento, a 65 e 63 anni, impiccandosi sotto un arco della passeggiata a mare di Genova Nervi.
Avevano deciso già trent’anni fa che non ce l’avrebbero fatta ad andare avanti. In giro lo dicevano a tutti che erano «tarate». E che «intanto «prima o poi prendiamo una pistola e la facciamo finita». Erano morte nel 1976, quando una terza sorella aveva rischiato di far saltare per aria un condominio aprendo il gas e lasciandosi morire. Da allora Beatrice era in cura, l’avevano seguita ospedali e psichiatri. Ma avevano solo potuto rimandare quell’appuntamento già preso. Piera sembrava la più forte, ma martedì sera non ha avuto dubbi. Ha seguito la sorella maggiore quando è uscita di casa, ha preso anche lei i due biglietti dell’autobus e le è stata sempre accanto. Forse sperando di riuscire a riportarla indietro, di timbrare anche il biglietto del ritorno che teneva in tasca. Però quando ha visto Beatrice con lo sguardo fisso nel buio del mare, quando l’ha vista andare a recuperare una corda dalle barche sotto l’arcata della passeggiata, per usarla come cappio, ha deciso di seguirla. È salita, insieme a lei, sulla scaletta in ferro, al riparo dalla vista di qualsiasi passante. E, insieme a lei, si è lasciata cadere.
Hanno cancellato tutta la loro vita da «gemelle» nate a due anni di distanza verso mezzanotte. Le hanno ritrovate solo cinque ore più tardi, il bagnino e il guardiano di uno stabilimento balneare che dormivano nelle cabine per paura dei ladri. E i carabinieri hanno aspettato quasi tutto il giorno per riuscire a dare un nome a Beatrice e Piera Rua, che addosso, oltre ai vestiti, avevano solo le chiavi di casa e quei quattro biglietti dell’autobus, due timbrati alle 22.39 e due mai usati. Quando la notizia del mistero delle donne impiccate che sembravano sorelle aveva già fatto il giro della città, due ex colleghe di Piera si sono fatte avanti. Hanno confidato ai carabinieri di avere un timore, ben sapendo che la loro era una certezza. E all’obitorio dell’ospedale San Martino hanno solo dovuto compiere il riconoscimento ufficiale. Sapevano che sarebbe andata a finire così anche quando frequentavano Piera Rua dietro il banco di una pasticceria del centro. E sapevano che anche Beatrice aveva lavorato tra i dolci, nello stabilimento della Saiwa di Novi Ligure, perché il destino le aveva volute «gemelle» anche sul lavoro.
Chi conosceva le due sorelle Rua ha subito pensato a loro, sapendo del duplice suicidio della passeggiata. Ci hanno pensato i vicini, che tante volte le hanno sentite fare discorsi strani. «Ma credevo fossero talmente imbranate da non essere capaci neppure di fare un nodo per un cappio», ha confidato una donna del palazzo di piazza Palermo nel quale i carabinieri hanno cercato ieri sera eventuali messaggi di addio, trovando solo una casa in perfetto ordine, una pulizia quasi maniacale. «Non avevano mai avuto una relazione con un uomo, vivevano da sole», hanno confermato tutti i conoscenti. Che le hanno descritte come due donne sempre più isolate e tanto schive da sembrare scontrose. Di nove fratelli, erano le uniche a non essere riuscite a superare il dramma del suicidio della sorella più piccola.

Avevano rotto i rapporti con il resto della famiglia, e l’ultima volta avevano soltanto ospitato per qualche giorno a casa loro i nipotini. Ma intanto pensavano a quell’appuntamento deciso trent’anni fa. Sempre insieme.

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