Spedizione sulle orme del mito l’Italia sul Ruwenzori 100 anni dopo

Il 19 giugno 1906 il Duca degli Abruzzi piantò il tricolore sulla vetta africana. Oggi tocca a un nuovo gruppo di esploratori

Stefano Filippi

Il Duca degli Abruzzi vi piantò il tricolore il 18 giugno 1906 alle 9 e mezzo del mattino. Dove avevano fallito esploratori inglesi come Henry Stanley, riuscì Luigi Amedeo di Savoia che già aveva raggiunto i 5.849 metri del Sant'Elia in Alaska, guidato la spedizione al Polo Nord e si preparava ad assaltare il K2. Cent’anni or sono il suo obiettivo era un massiccio innevato nel cuore dell’Africa al confine tra Uganda e Congo. I ghiacci perenni che svettano sulla linea dell’equatore alimentano i laghi Alberto e Vittoria e il «grande padre» Nilo: quelle che il geografo Tolomeo nel secondo secolo dopo Cristo aveva battezzato «Montagne della luna» mentre il popolo Bakonjo chiama Ruwenzori («Monti della pioggia» perché sempre avvolti dalle nubi) sono la mamma dell'Africa.
Tra poesia e nebbie, al culmine di una spedizione durata tre mesi, giusto un secolo fa il figlio del primo Duca d’Aosta conquistò i 5.119 metri della vetta dandole il nome della regina Margherita, come la cima del Monte Rosa. Cent’anni da celebrare. Il governo ugandese e l’ambasciata italiana hanno organizzato convegni all’università Makerere di Kampala, una mostra fotografica e antropologica allestita dal Museo della montagna di Torino esposta contemporaneamente nel capoluogo piemontese e nella capitale africana, un film-festival e una spedizione che, sulle orme di quella del 1906, scalerà le stesse 17 cime superiori ai 4.500 metri. Vi partecipano anche Amedeo d’Aosta discendente del Duca degli Abruzzi, rappresentanti del Cai, degli alpini e delle guide di Courmayeur tra cui Giuseppe Petigax, bis-nipote (e omonimo) dell’inseparabile accompagnatore di Luigi Amedeo di Savoia. Al seguito 52 portatori, due guide e pure due cuochi.
Ma la spedizione di cent’anni fa aveva anche scopi scientifici. Ne facevano parte tra gli altri il fotografo Vittorio Sella, il biologo Achille Mulinelli, il geologo Alessandro Roccati. Il gruppo realizzò la prima completa esplorazione del massiccio (zoologia, botanica, geologia, mineralogia, osservazioni astronomiche e meteorologiche); i risultati finirono in due grossi volumi scritti da Filippo de Filippi nel 1908 per le edizioni Hoepli e illustrati dalle struggenti foto di Sella. Ricerche più ripetute. Così, accanto a quella escursionistica, una seconda spedizione scientifica, culturale ed educativa approfondirà la conoscenza del Ruwenzori.
L’anima di questa avventura è un’associazione ambientalista dal nome poetico, «L’umana dimora», che ha messo assieme università di Brescia, Cai, Regione Lombardia e la ong Avsi. Il capo spedizione, Gustavo Corti, è un fisioterapista di 29 anni che ha lavorato nel nord Uganda nei progetti di cooperazione Avsi: doveva fermarsi sei mesi, è rimasto oltre tre anni. Soccorreva i bimbi mutilati dalle mine. Corti è un appassionato alpinista e nel 2001, finita la guerra civile, è stato il primo occidentale a scalare il Ruwenzori quando il parco naturale fu riaperto ai visitatori. Era il suo primo cinquemila.
È stato Corti a lanciare l’idea della spedizione scientifica e ambientale, subito raccolta da Giorgio Vassena, presidente dell’«Umana dimora», docente di topografia all’università di Brescia, membro del comitato scientifico del Cai e autore di ricerche in Himalaya e Antartide. Gli obiettivi sono molteplici. Sarà installata una rete di pilastrini geodetici per rilevazioni cartografiche e ambientali e per studi sui ghiacciai, i quali verranno scansionati da un rilevatore laser e controllati anche da una nuova rete di centraline meteo che segnaleranno variazioni climatiche e aiuteranno ad affrontare problemi molto concreti: il calo di circa 4 metri del livello medio del lago Vittoria mette a rischio l’approvvigionamento idrico e la produzione di energia idroelettrica.
Saranno collocati strumenti Gps a basso costo progettati dalla facoltà di ingegneria di Brescia e verrà avviato il progetto di sistemare i bivacchi di avvicinamento alle vette per favorire il trekking eco-compatibile.

Ci sono anche progetti culturali ed educativi perché, spiega Vassena, «l’educazione come introduzione al reale è alla base dello sviluppo di un popolo»: con l’aiuto di Avsi partirà un piano didattico per fare conoscere ai giovani ugandesi le ricchezze naturali del loro Paese. E sarà avviata anche la formazione di nuovi operatori ugandesi per il parco naturale del Ruwenzori.

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