Cannes - Il «prof» di filosofia è americano, ma potrebbe tranquillamente essere nato nella Vecchia Europa. È un tipo umano che non è difficile incrociare: pensa che la filosofia sia spesso una masturbazione mentale, da giovane ha scritto poesie, la mezza età l'ha colto sull'ennesimo libro dedicato ai rapporti fra Heidegger e il nazismo, sono legioni le manifestazioni, le lettere aperte ai direttori di giornali, le petizioni al suo attivo, da una «missione umanitaria» è tornato con la diarrea, ha conosciuto la sua futura moglie durante un tour-adventure a Machu Pichu. In seguito hanno divorziato.
Abe Lucas, il nostro «prof» in questione, compensa il ridicolo di una certa intellettualità engagé , ma con il biglietto andata/ritorno, con una sofferenza più profonda. Dalla separazione non si è mai ripreso, gli è morto il suo miglior amico in Iraq (vittima accidentale di una mina, ma il gossip universitario preferisce pensare sia stato decapitato, c'è più fascino…), è giunto a disprezzare il lavoro che fa, insegnare a ragazzi per i quali la cultura è un fenomeno di moda, da indossare per un paio di corsi estivi, prima di mettersi saggiamente a fare soldi. È depresso, beve molto, «single malt addict», ha smesso di credere nell'impegno che salverà il mondo e non gli tira più. Alcune studentesse si disperano all'idea, tormentato eppure affascinante com'è, e sognano di riportarlo alla vita tramite l'amore. Alcune più disincantate sue colleghe pensano che anche il solo sesso andrebbe bene. Naturalmente, Abe ha tendenze suicide: una sera, a una festa privata, ha giocato alla roulette russa con un revolver, secondo lui una lezione di filosofia atta a spiegare come una possibilità su due, sopravvivere o morire, sia più di quanto l'esistenza di solito ci offra. Perché ci limitiamo a vivere e non scegliamo mai. «Era meglio se si faceva di acido in classe» ha commentato uno dei presenti.
Un giorno, in un caffè, il nostro «prof» capta la conversazione di un altro tavolo. C'è una madre disperata a cui il marito vuole portare via i figli grazie a un giudice suo amico chiamato a decidere sull'affidamento.
«Se gli venisse un infarto» dice rabbiosa la donna e per Abe è un'illuminazione, l'occasione per fare un gesto, anzi il gesto liberatorio in grado di influire realmente sulle cose. Ucciderà lui quel magistrato, atto gratuito e anche atto etico, non più l'astrattezza di cui è stata piena la sua vita di intellettuale fallito, ma l'azione mirante a raggiungere un fine. In più, artisticamente parlando, il «delitto perfetto», ovvero l'assassinio come opera d'arte: nessun legame fra lui e la vittima, nessun movente «razionalmente» possibile almeno per un'indagine poliziesca. È un pensatore, Abe, e del resto la filosofia è ciò che più si avvicina alla matematica. Solo che, come dice qualcuno, «lui è soprattutto brillante, utilizza argomenti intelligenti e che hanno l'aria di essere convincenti, ma se vengono sottoposti a una critica serrata, non tengono botta». Quell'assassinio, insomma, se lo riporta, paradossalmente, ad amare la vita, spalanca però la porta al caso, che con la razionalità ha poco a che spartire.
Irrational Man è questo gioiellino che Woody Allen regala fuori concorso al Festival di Cannes, un'ora e mezza di film in cui non c'è una parola di troppo e la storia fila come un treno, esilarante e insieme fosca, fino al suo epilogo, con due attori in stato di grazia, Joaquim Phoenix (Abe Lucas) e Emma Stone (Jill Pollard, la studentessa innamorata) e il resto del cast pari all'altezza, il tutto accompagnato dalla musica jazz perfetta del Ramsey Lewis Trio.
Girato in formato panoramico, «il più adatto per le storie intime» secondo il regista, è l'ennesima sua riflessione intorno ai temi del delitto e del castigo in generale, ma più in particolare sull'assurdità del vivere. «Non credo nel destino. Avanziamo nell'esistenza un passo alla volta, tappa dopo tappa e ogni cosa è legata all'azzardo, al caso, sono loro a menare la danza. Sì, certo, possiamo influenzare qualche scelta, ma sono cose secondarie. Nel mio film, Abe trova improvvisamente un senso alla vita, una sorta di rivelazione, se volete, perversa perché ha a che fare con l'eliminazione di un altro essere umano. Lui che era depresso, che pensava al suicidio, ha ora uno scopo. È qualcosa di irrazionale, pericoloso, senza senso, però è la sua nuova ragione di essere».
Così come il caso gli ha fatto ascoltare quella conversazione, sarà ancora il caso, la vincita alla lotteria di una torcia tascabile poi donata alla graziosa Jill, a imprimere il suo sigillo finale.
Woody Allen ha ottant'anni e gira con la freschezza di un ragazzino anche se, come ha tenuto a far sapere a Le Figaro , citando una poesia di Auden, ogni giorno invecchiamo di un giorno e la morte è ciò che ci aspetta, «come il rombo lontano di un tuono durante un pic-nic».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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