Ac/Dc fedeli alla linea. Il loro rock (molto) duro non cambia da 45 anni

L'album "Pwr up" è uno degli eventi del 2020. E suona diverso da tutto ciò che va di moda

Ac/Dc fedeli alla linea. Il loro rock (molto) duro non cambia da 45 anni

Ma che bello: un disco che si sa già come va a finire. Potente. Semplice ma inimitabile. Signore e signori, ecco la musica di una categoria in via di estinzione, i rockettari che con tre accordi ti riempiono uno stadio come se fosse la cameretta di un adolescente. Pwr Up è uno dei dischi più attesi di quest'anno maledetto e arriva dopo un bel po' di disgrazie (la morte del fondatore Malcom Young nel 2017, la malattia del cantante Brian Johnson, l'abbandono di batterista arrestato e bassista stanco) che avevano fatto dire a tutti addio cari Ac/Dc siete stati bravi ma ora basta. Invece no.

Si sono rimessi insieme e sono identici a prima, a quando con Bon Scott (poi morto nel 1980 per i soliti eccessi) iniziarono a correre sulla highway to hell, sull'autostrada per l'inferno asfaltata da chitarre esagerate e virtuose, batteria monolitica, testi goliardici, mai politici, sempre al servizio della musica. E li riconosci subito anche stavolta, gli Ac/Dc, quando inizia il riff di chitarra di Realize che, una volta suonato negli stadi scatenerà l'effetto tipico della band, lo stesso che si vede in Live at River Plate del 2009: pubblico compatto, teste e pugni oscillanti al ritmo della batteria, un rituale onesto e scatenato che è un po' anche il senso di questo boogie rock derivato dal blues ed elevato all'ennesima potenza per sottrazione: gli Ac/Dc sono soltanto basso chitarra batteria e voce senza altri orpelli, niente tecnologia, quasi tutto in quattro quarti e via andare perché contano soprattutto il giro di chitarra e il ritornello. Una formula che aveva fatto storcere il naso ai puristi persino quando, nel 1980, uscì Back in black, che poi si rivelò essere l'album più venduto della storia dopo Thriller di Michael Jackson. Ma chi sono questi caciottari? Risultato: oltre duecento milioni di dischi venduti in carriera (che valgono un po' di più dei numeri da streaming), trent'anni di tour stra esauriti negli stadi senza nessuna o quasi apparizione tv, pochissime copertine, zero social. Solo la forza di un marchio, quello degli Ac/Dc, che senza tante ciance è diventato riconoscibile al primo ascolto. Specialmente ora. Questo Pwr Up, che sarà uno dei più venduti dell'anno, è una copia conforme dello stile Ac/Dc senza che nessuno possa lamentarsi. Anzi, una variazione sarebbe stata come un tradimento. E quindi Demon fire può avere un «attacco» che ricorda Whole lotta Rosie o Wild reputation ha un basso che fa venire in mente Live wire dal disco TnT del 1975 ma chissenefrega. Nell'epoca del cambiamento a tutti i costi (compreso quello di perdere la faccia) la forza di questi manovali del rock è di non cambiare e di soddisfare un pubblico che li vuole così. Soprattutto di farlo ad altissimo livello perché Brian Johnson ha 73 anni ma urla come quando registrava For those about to rock nel 1981 e Angus Young, il minuscolo scolaretto del rock, a 65 anni è sempre più maestro della sua chitarra Gibson SG, suonando assoli meno funambolici ma più difficili, veri ricami essenziali di un tessuto grezzo e irresistibile. Certo, la storia degli Ac/Dc è passata Through the mists of time, attraverso i fumi del tempo come il titolo di uno dei brani più corali del nuovo disco, perché questi australiani hanno avuto vite e morti straordinarie e maledette, arrivano dagli scantinati di Sidney, non sono mai piaciuti alla gente che piace ma hanno suonato per decine di milioni di persone con una lealtà che ce ne fosse altrettanta in giro. Insomma oggi sono diventati tutto ciò che non si sente in radio e nelle playlist: un gruppo basato sulle chitarre che non usa autotune, per carità, e che fa saltare in piedi al primo ascolto.

E meno male che questo disco degli Ac/DC (scritto in gran parte anni fa da Malcom Young) suona pressoché identico ai precedenti.

Tempo fa, Angus Young disse al New York Daily News che «sono stanco di sentir dire che abbiamo pubblicato undici dischi uguali. In realtà sono dodici che suonano tutti uguali». Con una battuta così, e un pubblico sterminato, vinci a mani basse anche quando pubblichi il diciassettesimo album e non cambi manco una virgola.

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