“America Latina” dei D’Innocenzo: indagine nelle paludi dell’inconscio

Film che s’interroga sulla frattura tra apparenza e realtà, sullo scarto tra chi siamo e chi crediamo o diamo ad intendere di essere, e convince nella sua linearità alterata

“America Latina” dei D’Innocenzo: indagine nelle paludi dell’inconscio

America Latina dei fratelli D’Innocenzo, quinto film italiano in concorso alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, è il titolo di punta tra quelli presentati oggi al Lido.

Alla loro terza opera i gemelli di Tor Bella Monaca scelgono di nuovo come protagonista Elio Germano e ambientano la storia nella zona sud, un tempo paludosa, della Capitale.

Qui vive, in una villa isolata, Massimo Sisti (un perfetto e finalmente misurato Elio Germano), assieme alla moglie e a due figlie. Di professione dentista, è un quarantenne dal temperamento mite e che pare concedersi solo una sbronza settimanale con un amico di vecchia data. Nella sua esistenza apparentemente sempre uguale, la tranquillità e l’equilibrio vengono spazzati via da un imprevisto sconvolgente la cui vista atterrisce l’uomo nel seminterrato della propria abitazione.

Il film, con linguaggio visivo minimale ed efficace, segue una persona ordinaria in pieno smarrimento, terrorizzata dall’aver perso il controllo e non averne ricordo. Un quarantenne che soffoca tra sensi di colpa, pur ignorando se sia appunto colpevole di qualcosa. Da spettatori si sospetta quasi subito che la visione di quanto su schermo sia parziale e viziata dal trovarci ad un passo dal protagonista. Il terreno ex paludoso e bonificato di Latina allude a tante esistenze come la sua, performanti ma che affondano le radici in fragilità melmose.

"America Latina” è un viaggio nel dubbio, nel sottile passo di troppo che porta a percorrere una strada che sembra la stessa e invece inizia a costeggiare il baratro. Il film scandisce il trascinarsi di un padre di famiglia verso un punto di non ritorno che non potrà identificare come tale. La lucidità infatti sfuma a poco a poco in inconsapevolezza, lasciando che sfugga all'autopercezione l’imbocco dell’alterazione psichica.

Il protagonista chiede aiuto, in cerca di coordinate, a quello che l’ingenuità corrente identifica come il deus ex machina dei nostri tempi: Google, padrone di tutto lo scibile e detentore della risposta a ogni dilemma. Qui inizia a cercare articoli e immagini che possano aiutarlo a capire cosa sia successo nella cantina dell’abitazione e, affidatosi al "dottor Wikipedia", legge riguardo ai possibili effetti dell’alcol sulla memoria. Infine dissemina punti interrogativi in un'agenda in corrispondenza di giorni di cui ha perduto contezza.

Prima di arrendersi alla perdita di ogni riferimento, tenta di collegare la “sventura” occorsagli ad altri da sé, prima al suo conoscente più vicino, poi alle sue donne di casa. Queste ultime più che madre e figlie, sembrano tre sorelle e finiranno con il somigliarsi come tre vestali dello stesso culto, il focolare domestico.

Amanti del "fuori posto" e delle zone fantasma dell’Io, i D’Innocenzo ricorrono a storture visive e sensoriali, senza per questo perdere il rigore e la precisione estetici del thriller e del noir.

Un sollievo rinfrancante imbattersi di questi tempi nella sintesi narrativa e nella pulizia della messa in scena sfoggiati in “America Latina”. I pochi scambi di parole, la colonna sonora in cui un solo strumento accompagna una melodia mugolata da un femminile misterioso, la casa che parla da sola perché straniante e quasi “sbagliata” a livello di estetica architettonica. E poi le vetrate, i riflessi e gli specchi d’acqua (che siano naturali o una piscina o una cantina allagata), continui riferimenti ai piani bassi dell’essere, quelli dell’inconscio inferiore e al suo liquido amniotico stagnante.

Meno episodico e frammentario di

Favolacce”, nonché privo dei suoi bozzetti, dell’umorismo aspro e della critica sociale, “America Latina” è un’opera immersiva che conduce con grazia lo spettatore nel cono d’ombra del disturbo paranoide.

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