"Anche dopo le vittorie siamo registi selvaggi per chi vuole favolacce"

Dopo Berlino i fratelli D'Innocenzo hanno dominato i Nastri d'argento: "Gireremo un noir e un thriller"

"Anche dopo le vittorie siamo registi selvaggi per chi vuole favolacce"

In principio erano i fratelli Taviani, comunisti organici. Poi i Vanzina, lietamente frivoli. Ora che tali coppie fraterne sono dimidiate, per decesso di uno dei due, sulla scena ecco i gemelli D'Innocenzo. Damiano e Fabio, romani di Tor Bella Monaca, periferia della Capitale, hanno vinto il Nastro d'argento con Favolacce, fiaba nera di famiglie infelici, anche vincitore dell'Orso d'argento a Berlino. Ma è oro quello che hanno tra le mani questi registi e sceneggiatori trentenni, che mirano a «merda e poesia», unendo Stephen King e Charlie Brown in racconti da brivido. Cercando l'inquadratura giusta, non quella bella, hanno incontrato Matteo Garrone, che li ha voluti per Dogman, mentre Paul Thomas Anderson si è innamorato del loro modo di scrivere. Nessuna accademia, zero scuole di cinema, un po' d'Istituto alberghiero e tanta mamma: a lei, Carla, hanno dedicato la raccolta di poesie Mia madre è un'arma (La Nave di Teseo). A lei pensano, scrivendo e realizzando opere originali che parlano di famiglie, cani, case. Un occhio a Carver, uno ai Simpson e, intanto, c'è la fila per finanziarli. Amanti del silenzio, i D'Innocenzo parlano per bocca di Damiano.

Senza cognome in cartellone e con pochi soldi in tasca, ce l'avete fatta nonostante la casta dei cast?

«Userei con parsimonia la frase avercela fatta. Noi conserviamo il nostro spirito selvatico, quindi senza conoscenze ma sento che non siamo mosche bianche: ci sono Thomas Carpignano e Alice Rohrwacher. Ho sempre sentito che il cinema, per noi, era approcciabile. Anche dopo aver sentito una sinfonia di no, conserviamo la giusta screanzatezza».

Nelle vostre opere la figura materna sembra centrale: qual è il vostro rapporto con la mamma?

«Lei c'è nei sogni, nella mia idea di futuro. Il volume Mia madre è un'arma rimanda all'idea di difesa, non di offesa. Io e mio fratello siamo fortunati ad avere una madre sofisticata, nella sua semplicità. Scrive poesie, che non pubblica: ce le regala a Natale. I nostri genitori sono stati i nostri maestri. Da loro abbiamo imparato a leggere i russi, Cassola, Hemingway».

Solitamente, gli autori detestano le famiglie d'origine.

«La famiglia è fondamento assoluto: non vedo l'ora di diventare padre. Ma il nostro cinema vuole scuotere, non piacere a tutti. Abbiamo organizzato una proiezione di Favolacce a Trevignano: alla fine, nonni e genitori erano scossi. Essere scossi è importante: viviamo nell'epoca del torpore. Mi spaventa l'idea di vivere sedato».

I giovani le sembrano «sedati», magari da Internet?

«Per fortuna, gli adolescenti sono affamati di qualcosa di diverso: noi glielo abbiamo offerto. Loro non vogliono Internet, o altre stupidaggini. Vogliono altro: la terra, la bestemmia, la sincerità».

Il cinema italiano, tra cinema d'autore e di genere. Allergici alle etichette, dove vi collocate?

«Ci sentiamo trasversali. In genere, facciamo i film che vorremmo guardare. E siamo disubbidienti nei nostri stessi confronti».

Anarchici, ma vi vuole Sky: di quale progetto si tratta?

«Gireremo una serie molto riflessiva per Sky Studios: 6 episodi, che stavolta prescindono dal dialetto romanesco delle periferie, limitante. Stiamo scrivendo in un italiano pulito storie che riflettono sull'esistenza. Un noir sonnolento, con poche parole e molto silenzio. Per la prima volta ci saranno più figure maschili che femminili. Attori, non ne abbiamo: scrivere pensando a un volto è già un limite».

Pensate anche a un nuovo film per il cinema?

«In cantiere c'è un western ruspante, rurale e agrario. Un film sporco e povero. Poi, pensiamo anche a un thriller».

Qual è la vostra routine di scrittura?

«Fabio è più militante di me: scrive con orari stretti. Io sto nella stratosfera della pigrizia. Ognuno scrive per conto proprio. Poi, il confronto».

E sul set?

«Siamo molto silenziosi, con gli attori. Tutto ciò che è incerto, va risolto tra me e mio fratello .In camerino

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