"Gli anni più belli", amore e amicizia alla maniera di Muccino

Un'opera corale che segue i tradimenti e le gelosie di un gruppo di amici dai primi anni ’80 ai giorni nostri, con l'ambizione di farsi ritratto generazionale.

"Gli anni più belli", amore e amicizia alla maniera di Muccino

"Gli anni più belli", il nuovo film di Gabriele Muccino, è una sorta di romanzo popolare che, raccontando di quattro amici, abbraccia quarant'anni di Storia d'Italia.
Il riferimento dichiarato è a «C'eravamo tanto amati» di Ettore Scola, opera cui viene reso omaggio riprendendone in parte la struttura narrativa.
I protagonisti sono Giulio (Pierfrancesco Favino), Paolo (Kim Rossi Stuart), Riccardo (Claudio Santamaria) e Gemma (Micaela Ramazzotti), che si conoscono da ragazzini e, pur allontanati da scelte e destini diversi, resteranno legati l'uno all'altro e proveranno a digerire il proprio percorso.
A scandire il trascorrere del tempo nel film sono scorci di eventi come la Caduta del Muro di Berlino e l'11 settembre 2001 o di stagioni politiche come Tangentopoli, la discesa in campo di Berlusconi e l'avvento del Movimento 5 stelle (che nel film viene ribattezzato "movimento del cambiamento"). Osserviamo i personaggi, che raccontano di se stessi rivolgendosi a più riprese direttamente alla platea, crescere e vivere emozioni estreme, coltivare speranze e lottare per non arrendersi alle delusioni. Siamo testimoni silenti del loro apprendistato esistenziale, di cui è parte fondamentale comprendere quanto sia facile commettere sbagli e ingannare se stessi prima ancora che gli altri.
Muccino sa raccontare l'ebbrezza sentimentale e l'affamata innocenza di chi si affaccia all'età adulta, così come è lucido nel mettere a nudo i limiti generazionali, tessere una narrazione accattivante e orchestrare rapporti tra numerosi personaggi. Eppure l'emotività chiassosa con cui rende le dinamiche psicologiche mina in parte l'universalità del racconto: il piglio adolescenziale intatto negli anni non è qualcosa in cui tutti, vivaddio, si riconosceranno, malgrado la dica lunga sul grado di maturità di molti neocinquantenni odierni. Quella raffigurata è una generazione irrisolta, spaesata quanto l'Italia che le fa da cornice, ma i cui toni sopra le righe sono da sempre la cifra stilistica di Muccino. Il regista sembra andare verso il rischio di mettere in scena la parodia del suo stesso cinema: in "Gli anni più belli" le scene-madri non si contano, così come le discussioni in cui i personaggi si urlano in faccia. Debordanti stavolta anche le musiche di Nicola Piovani, come se l'enfatica gestione del racconto avesse bisogno di un amplificatore emotivo.
Ottimo il casting che ha reso possibile individuare i giovanissimi che interpretano i personaggi da adolescenti, mentre appare un po' ingenua la scelta di affidarsi solo al trucco per girare i fotogrammi in cui gli attori protagonisti dovrebbero essere poco più che ventenni.
Merita di essere ricordata la scena in cui Gemma, prendendo le sembianze avute nelle diverse età della vita, corre su per le scale verso la fine del film, ma molta della sua deflagrante potenza si deve alle note pucciniane che l'accompagnano.
Come spesso avviene nei film di Muccino, le donne, di qualsiasi estrazione siano, appaiono tendenzialmente delle traditrici e gli intrighi prosperano, affondando le radici in un humus composto di gelosie, invidie e infedeltà. Ci saranno spettatori pronti a cogliere in quel che vedranno qualche traccia si sé e del proprio approccio alla vita, mentre altri troveranno urticanti le tante piccole esagerazioni che sfilano su schermo.


Nel complesso, "Gli anni più belli" ha il merito di mostrare che l'evoluzione di un essere umano non sia correlata alle rughe o agli errori commessi, bensì alla capacità di staccarsi di dosso le etichette, far pace con il passato e brindare a ciò che fa stare bene.

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