Continua in Francia la battaglia attorno alle idee dello scrittore franco-algerino Kamel Daoud. Daoud, vincitore del premio Goncourt per l'opera prima con il suo romanzo Il caso Meursault (Bompiani), è sempre stato un intellettuale attento alla condizione dei musulmani. Basti dire che il suo romanzo è centrato sul tema dell'identità algerina: Il caso Meursault è anche un processo ad Albert Camus che fonda Lo straniero sull'uccisione di un arabo senza identità. Daoud decide invece nel suo romanzo di dare un nome Haroun a questo arabo ucciso da Meursault. Raccontando la sua storia ridà, per dirla come i critici francesi, «soggettività e dignità all'altro». Recentemente però in un articolo su Le Monde (poi ripreso anche dal New York Times) ha detto chiaro e tondo cosa pensa dei fatti di Colonia: «Quello che era stato lo spettacolo sconcertante di terre lontane si trasforma in uno scontro culturale sul suolo stesso dell'Occidente. Il grande pubblico occidentale scopre, nella paura e nell'agitazione, che nel mondo musulmano il sesso è malato e che questa malattia sta arrivando sulle proprie terre». Niente sconti ai musulmani quindi, niente facili buonismi.
Abbastanza perché un gruppo di 19 intellettuali gli abbia risposto, sempre sulle colonne di Le Monde, accusandolo, anche senza usare la parola, di islamofobia. Quel tipo di accusa che basta da sola a scaraventare tra i reietti (Fallaci docet). «Nel suo testo Daoud riduce uno spazio che riunisce oltre un miliardo di abitanti e si estende su migliaia di chilometri a un'entità omogenea, definita solo dal suo rapporto con la religione, il mondo di Allah. Tutti gli uomini che lo abitano sono prigionieri di dio e i loro atti generati da un rapporto malato con la sessualità». Per di più Daoud si è pure permesso di dire che l'Occidente è rispettoso della donna: «Questo essenzialismo radicale produce una geografia fantastica che oppone un mondo della sottomissione e dell'alienazione al mondo della liberazione e dell'istruzione». E questa è stata solo la punta dell'iceberg. Giusto per fare un esempio: la femminista musulmana americana Samar Kaukab ha addirittura dato del maschilista a lui. Abbastanza perché Daoud, che è stato appena insignito del Prix Jean-Luc Lagardère 2016 come giornalista dell'anno, abbia deciso la fine della sua attività sui giornali. Non ha più voglia di essere linciato.
Domenica però è arrivata in soccorso di Daoud un'altra scrittrice di origini nordafricane, la franco-tunisina Fawzia Zouari. Ha preso posizione da un giornale che non si può certo considerare islamofobo: il sinistrissimo Libération. La Zouari, all'attivo diversi romanzi, è andata giù piatta. Secondo lei le accuse che gli intellettuali dell'articolo hanno mosso a Daoud non sono diverse da quelle che avevano mosso «i barbuti del suo Paese» prima di minacciarlo di morte. Così, secondo lei, si riduce al silenzio «una delle voci di cui il mondo islamico ha più bisogno». La rabbia conto Daoud secondo lei nasce dal fatto che «va all'attacco contro i ranghi dei benpensanti e degli avvocati dei musulmani». Secondo Zouari sono certi studiosi innamorati dei secoli d'oro dell'Islam a non voler vedere la realtà di miseria intellettuale che oggi caratterizza molta parte del mondo islamico: «C'è una élite di sinistra che intende fissare i criteri della buona analisi e che vuol fare di noi gli ostaggi di un contesto francese traumatizzato dalla paura di essere accusati di islamofobia». E questi censori sì che «si comportano da neocolonialisti, non accettando che un arabo possa contestare la tradizione mussulmana».
C'è da aspettarsi che a breve finisca sotto il tiro incrociato anche la scrittrice. Va detto però che in Italia si potrebbe dubitare che il suo articolo, che ha ricevuto il plauso anche de Le Figaro, sarebbe stato pubblicato da un giornale di sinistra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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