Se il Superman di Richard Donner, datato 1978, può essere considerato il padre dei cinecomic, L'uomo d'acciaio, da giovedì nelle sale, ne rappresenta l'evoluzione finale, sintesi di un cammino che ha stravolto uno dei filoni più ricchi del grande schermo. Non è un caso, infatti, che nel titolo manchi, per la prima volta, il nome di Superman, proprio per far intendere che quello che il pubblico andrà a vedere non sarà il solito film sull'eroe proveniente da Krypton ma qualcosa di nuovo, di reinventato, di adattato alle esigenze del ventunesimo secolo. È come se questa fosse, in assoluto, la prima pellicola su di lui e le precedenti fossero state cancellate. Superman ha perso, ne L'uomo d'acciaio, la purezza dei vecchi adattamenti. Zack Snyder lo ha costruito ispirandosi alla trilogia di Nolan (qui presente come produttore) de Il Cavaliere Oscuro, trasformandolo in un'anima in pena, in cerca delle sue radici. La kryptonite, suo tallone d'Achille, è scomparsa, così come le sue famose mutande rosse che indossava sopra un costume che qui è volutamente più scuro e meno folcloristico. Che conserva la tradizionale «S» ma non il suo significato, ora riconducibile a un termine di Krypton che significa Speranza. Insomma, Clark Kent (non lo chiamano quasi mai Superman) ha perso la sua bonaria ingenuità, sacrificata sull'altare della modernità. Non che il fumetto sia stato abbandonato ma è la natura stessa che muove il personaggio a essere diversa rispetto al passato. E la presenza di Nolan si fa sentire pesantemente nelle scelte di sceneggiatura e di regia. Qui si parte dalle fondamenta e si spazia subito nella fantascienza più pura. Nel prologo del film, che dura una ventina di minuti (altro che la famosa breve apparizione milionaria di Marlon Brando), viene mostrata la fine di Krypton, ormai sul punto di esplodere mentre la sola chiave di sopravvivenza della specie è nella mani di Jor-El (Russell Crowe) che la affida, sacrificando la vita, al suo neonato Kal-El (Henry Cavill), spedito sulla Terra nonostante il tentativo del generale Zod di entrarne in possesso. Un inizio che mette in campo effetti speciali e grande action, per far capire dove si andrà a parare. Successivamente, alternando passato e presente, Snyder mostra allo spettatore le difficoltà della crescita di Clark, adottato dai coniugi Kent (Kevin Costner e Diane Lane), su un pianeta che non è il suo. Da bambino va in crisi a scuola perché dilaniato dai rumori di fondo amplificati dai suoi super sensi sviluppati. Poi, lo ritroviamo già adulto mentre salva degli operai in una petroliera in fiamme. Rieccolo su uno scuolabus, ragazzino, mentre compie un'impresa fuori dal comune e, subito dopo, ai giorni nostri, deve resistere alle provocazioni di un energumeno per non svelare la sua identità. Tanti flashback per preparare lo spettatore alla domanda di fondo del film: cosa accadrebbe se sulla Terra apparisse all'improvviso un uomo con poteri sovrannaturali e si scoprisse che è un alieno? Come reagiremmo? E lui, come si adatterebbe a noi? Inevitabilmente, l'arrivo sul nostro pianeta di Zod (un Michael Shannon deludente se confrontato con il Benedict Cumberbatch di Star Trek) che minaccia il mondo («Consegnatemelo, o sarà la fine»), lo costringe a scendere in campo, a fianco della giornalista Lois Lane (Amy Adams). E' il momento di gettare la maschera e schierarsi dalla parte giusta. Il tutto servito con una imponenza di CG (strabiliante la distruzione di Metropolis) che accende l'azione ma non i sentimenti. Che sono forse l'aspetto più deficitario della storia. Qui non si entra mai in empatia con i personaggi, per colpa di un cast male assortito e con il freno a mano tirato.
Va bene fare un film cupo e introspettivo che non lasci fiato allo spettatore, ma far ridere almeno una volta il mono espressivo Henry Cavill era impresa da supereroi? Il pubblico giovanile lo adorerà. Chi ha superato la quarantina, si guarderà indietro con rimpianto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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