Arte e fatica. La stella assoluta che brillava con leggerezza

Figlia di un tranviere e un'operaia, entrò giovanissima alla Scala di cui divenne prima ballerina a 22 anni. La coppia d'oro con Nureyev, l'attenzione per i giovani

Arte e fatica. La stella assoluta che brillava con leggerezza

Ieri si è spenta Carla Fracci (Milano, 20 agosto 1936): la Danza. Un sospiro di donna, aerea e celestiale, sempre di bianco vestita. Eppure battagliera. Come non esserlo quando a forgiarti sono la sbarra, l'infanzia nella campagna da Albero degli Zoccoli, e soprattutto una professione che ti chiede tutto e anche qualcosa di più.

Fracci ha incarnato 200 ruoli sui palcoscenici che più contano, è la Giselle delle Giselle, incoronata imperatrice dal New York Times che la definì «prima ballerina assoluta». Correvano gli anni Ottanta, e da un bel po' la Fracci portava la danza ma anche il meglio dell'Italia nel mondo. Dalle punte al set (per un film su Giuseppe Verdi), alle campagne pubblicitarie, agli spettacoli in tv in compagnia con le Kessler pure loro nate il 20 agosto del 36. E poesia: Eugenio Montale nel dedicarle una lirica dichiarava che senza di lei - all'epoca era in dolce attesa - i balletti sembravano sfilate di morti. I «balletti» alla Scala, il teatro che vide sbocciare quella bimba che, rientrata nella Milano del dopoguerra, stava in una casa di ringhiera con papà tranviere e mamma operaia. Era entrata nell'Accademia a dieci anni, diplomandosi nel 1954 con debutto l'anno dopo al «Passo d'addio delle allieve licenziande della Scuola di ballo». Poi un last minute: nel 1955 sostituiva Violette Verdy nella Cenerentola di Prokof'ev. A 22 anni, era prima ballerina del teatro dove papà, passando col tram, non mancava di «scampanellare e io mi affacciavo. Mi salutava. Cosa tenerissima», il ricordo della Fracci, una vita in volo ma senza i colpi di testa che spesso riservano le vite d'artista.

La danza non era il sogno di lei fanciulla. «Io sono contadina, cresciuta con nonna e zii a Volongo in provincia di Cremona dove poi mi sono voluta sposare. Avevamo i buoi, le oche che portavo a pascolare lungo i fossi. Ho ricordi bellissimi e vivissimi di quel periodo. Era tutto molto semplice. E questo è rimasto in me in modo molto forte», la confessione. E proprio a Volongo si era sposata con Beppe Menegatti, marito, manager, pr, alter ego. A dire il vero quel matrimonio venne rinviato più volte per via dei documenti: «Ero sempre in viaggio e così le carte scadevano». L'incontro con Beppe? «Per me fu colpo di fulmine. Non per lui, all'epoca assistente di Visconti, già fidanzato con un'attrice. Poi si sa...». E in tema di famiglia, «guai a non avere affetti. I due nipoti di 13 e 16 anni mi sono stati vicini in questi mesi di Covid, ci sentiamo, scambiamo messaggi» disse in queste settimane.

Ripercorrendo alcune tappe e incontri della propria esistenza, ammetteva di aver amato la propria vita: «È stata bella. Non mi posso lamentare sebbene mi lamenti spesso. Prima non parlavo, ora parlo troppo», ironizzava. Una vita di incontri e momenti speciali. Si va da uno Schiaccianoci di Rudolf Nureyev, partner memorabile, messo su in tre giorni. Lei, lavoratrice perfezionista che non si accontenta di così poche prove, e Nureyev che «non mi rispose. Mi preparò passo dopo passo. Terzo giorno prova generale, al quinto si va in scena: fu un successo pazzesco». E Nureyev? «Mi disse, visto cosa vuol dire avere coraggio?».

Carla Fracci era l'artista che riusciva a calamitare alla Scala Charlie Chaplin che poi le scrisse un telegramma con «Sei magnifica». Telegrammi e segni di riconoscimento che la stessa Fracci non mancava di far recapitare a quanti apprezzava per la professionalità: un concetto ben chiaro a una donna cresciuta con il culto del lavoro e della meritocrazia. «Ero una bambina, quando ho visto il grandissimo coreografo e ballerino Frederick Ashton correggere la posizione di un dito di Margot Fonteyn, che per me era perfetta. Ho capito allora che la danza è impegno, è lavoro, è studio incessante». Tempo fa ci disse che «il teatro vive solo se esiste il lavoro, lavoro, lavoro». E ancora: «Bisognerebbe affidare la responsabilità dei teatri a chi lo merita, e non è sempre è così».

Di questa vita da fiaba rimanevano i ricordi «ma non si può vivere solo di quelli. Bisogna pensare al futuro» diceva. E faceva: in gennaio aveva condotto masterclass alla Scala, iniziava le spiegazioni da seduta balzando subito in piedi, ed eccola fra i giovani a consigliare mimando i gesti. Stava poi seguendo le varie fasi del film su di lei, Carla è il titolo, prossimamente sulla Rai.

Voleva una pellicola che riflettesse il vero di un'esistenza fatta di «sbarra, lezioni, sudore, fatiche, prove estenuanti, questa la danza, è arte pura, e va aiutata» diceva assistendo allo smantellamento delle compagnie di danza nei teatri italiani. Il suo grande cruccio.

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